DOPO L'ABRUZZO. Pd, M5S, rossoverdi e +Europa hanno trovato last minute un accordo anche in Basilicata, dopo dieci giorni di peregrinazioni tra rose di nomi. Verificheremo il 22 aprile se il campo […]
Pd, M5S, rossoverdi e +Europa hanno trovato last minute un accordo anche in Basilicata, dopo dieci giorni di peregrinazioni tra rose di nomi. Verificheremo il 22 aprile se il campo progressista riuscirà a sottrarre un’altra regione alle destre, ravvivando il vento sardo. Ma il punto qui è un altro. Dopo il voto in Abruzzo, si sta diffondendo – complice anche lo studio dei flussi dell’Istituto Cattaneo – una vulgata secondo cui gli elettori 5 stelle e dell’ex terzo polo tenderebbero a fuggire da un’ammucchiata che comprende partiti considerati troppo distanti. Una tendenza accentuata dai continui battibecchi tra i leader, in primis Conte e Calenda. La tesi è stata subito sposata dai commentatori mainstream, con l’obiettivo – sempre il solito – di indurre il Pd a scegliere l’abbraccio con i moderati e a scaricare il M5S.
L’architrave del ragionamento però non appare sufficientemente solido. Come ha scritto ieri Antonio Floridia ci sono tante ragioni che spiegano la propensione all’astensione degli elettori del M5s nelle elezioni locali o regionali, a partire dal basso tasso di identificazione partitica e l’estraneità alle reti di consenso locali. Non è un caso che gli elettori del M5S, in Abruzzo, siano quelli che hanno meno indicato una preferenza per i consiglieri regionali. Difficile sostenere che tra questi elettori ci sia stato un rigetto per la presenza nella coalizione di piccole liste centriste, che peraltro hanno avuto pochissimo spazio e visibilità nella campagna elettorale, compresi i leader nazionali. Né si può in alcun modo considerare troppo moderato il candidato del centrosinistra D’Amico, che invece aveva proposte radicali su lavoro, sanità e ambiente. E del resto Giuseppe Conte, nelle sue numerose tappe in Abruzzo, ha speso parole di grande fiducia verso D’Amico, escludendo qualsiasi sua tendenza al centrismo.
C’è però un’altra possibile causa dell’astensionismo a 5 stelle, di cui nel Pd occorre tenere conto: la fatica a considerarsi parte di un bipolarismo destra-sinistra, come è quello che sta ormai prevalendo su scala nazionale nel confronto Schlein-Meloni e che si è visto in Abruzzo, con la forte presenza delle due leader. Un Movimento nato sull’onda dell’antipolitica, allergico alle etichette di destra e sinistra, in grado di pescare voti da tutto l’arco politico, fa effettivamente fatica a riposizionarsi su schemi più tradizionali di lotta politica. Rischia di perdere per strada soprattutto i voti di protesta di chi contesta il sistema politico in generale. Così come è possibile che la linea di sinistra impressa da Schlein al Pd possa aver spinto alcuni elettori che erano migrati verso i 5S in dissenso con la stagione renziana a tornare a casa. Non è un mistero che in casa 5S avrebbero preferito una vittoria di Bonaccini alle primarie, proprio per potersi espandere nell’elettorato di sinistra.
Il travaglio del M5S nel percorso verso un nuovo bipolarismo è un tema reale, ed è il vero motivo per cui finora Conte ha faticato a considerarsi parte di una coalizione, nonostante i casi di alleanza coi dem. E non stupisce che, in caso di elezioni locali dove il candidato non è un esponente a 5 stelle (come era Todde in Sardegna), i voti possano assottigliarsi. L’elettorato del Pd, che viene dall’Ulivo di Prodi, è molto più allenato all’idea di una coalizione, e così anche quello rossoverde. Quello del M5S molto meno, e su questo c’è ancora molto lavoro da fare.
Non stupisce neppure il dato del Cattaneo secondo cui una parte di chi alle politiche aveva scelto il cosiddetto Terzo polo, in Abruzzo ha scelto il centrodestra. Calenda, e soprattutto Renzi, non fanno nulla per nascondere la loro equidistanza tra i due poli, e strizzano spesso l’occhio anche a destra, come sta avvenendo in Basilicata per Azione, fino all’ultimo incerta tra destra e sinistra (ma ha già silurato il candidato giallorosso). Semmai va notato come il tentativo di Renzi di drenare voti a Fi stia avendo l’effetto opposto. Per il campo largo, dunque, l’Abruzzo è un inciampo, non una condanna. La Basilicata, dove alle politiche 2022 i 5S avevano preso il 25% da soli (più di tutto il centrosinistra fermo al 21%), dirà qualcosa in più su questa allergia degli elettori grillini alle coalizioni. Per ora va notato che i leader, in una situazione molto complicata, e nonostante la sconfitta in Abruzzo, hanno lavorato per non andare divisi al voto. E non era scontato