ANALISI. Per abbattere le emissioni del 55% entro il 2030, il nostro paese dovrebbe raggiungere una quota del 40% di energie rinnovabili
Realizzare lo scenario che permette una forte riduzione del consumo di energia primaria e di importazione di fonti fossili già nei prossimi anni non è una cosa da poco. Molti analisti però hanno dato indicazioni per raggiungere il -55% di emissioni al 2030, con la speranza di vederle contenute nella revisione di un Pniec che tarda a uscire. Lo scenario che permette di raggiungere quegli obiettivi e che allo stesso tempo è in grado di minimizzare i costi annuali del sistema energetico deve fare riferimento all’incremento delle capacità installate di rinnovabili. Riassumendo i dati che circolano, si dovrebbe prevedere al 2030 una potenza complessiva di fotovoltaico di 85 GW (contro i 52 GW secondo il Pniec 2019), di eolico di 35 GW (18.4 GW secondo il PNIEC 2019), un aumento della produzione complessiva di biometano fino a 50-70 TWh/anno (circa 5-7 bm3/anno), la diffusione di pompe di calore al fine coprire il 45% della domanda termica del settore civile (circa 4 milioni di impianti), l’elettrificazione del trasporto leggero per almeno il 20% di veicoli elettrici in riferimento al parco italiano circolante al 2030 di 34 milioni, il programma di efficienza energetica degli edifici con una riduzione di 23 TWh della domanda complessiva di riscaldamento con interventi sull’involucro. Aggiungerei anche 5 GW di elettrolizzatori per arrivare almeno a 350 mila ton/anno di idrogeno verde. Tutto questo si traduce in una quota rinnovabile sul totale del 40% (contro l’attuale 20) ed una penetrazione delle rinnovabili nel mix elettrico almeno del 70%. Un impegno forte, investimenti importanti da affrontare con grande decisione, senza tentennamenti.
QUELLO CHE APPARE incongruo invece è che tale ferma decisione manchi proprio a colui che dovrebbe esserne il primo protagonista. Il ministro della Transizione ecologica ha dichiarato con inequivocabile chiarezza al recente Festival di Green&Blue che tutto questo è impossibile da realizzare – in realtà facendo riferimento al raggiungimento di gran parte di questi obiettivi nei prossimi tre anni – ma non per questo le sue affermazioni appaiono meno sorprendenti. Infatti sarebbe veramente grave se le sue esternazioni, diciamo poco coraggiose e poco lungimiranti, influenzino la strategia di decarbonizzazione italiana. Una strategia al ribasso, lontana dal processo di transizione energetica voluto in sede europea. L’impossibilità sarebbe dovuta, secondo quanto afferma il ministro, alla inadeguatezza della rete, alla localizzazione territorialmente squilibrata degli impianti, alla difficoltà di poter tener insieme transizione energetica con gli aspetti sociali. Le prime due motivazioni sembrano smentite dal Piano di Sviluppo 2021 di Terna, dove si dice che: «È necessario accelerare gli investimenti nelle reti, (…) al fine di incrementare la magliatura, rinforzare le dorsali tra Nord e Sud, potenziare i collegamenti nelle Isole e con le Isole, sviluppare la rete nelle aree più deboli, per migliorarne la resilienza, l’integrazione delle rinnovabili e risolvere le problematiche di regolazione di tensione. Terna sta già imprimendo un’accelerazione agli investimenti più importanti e di maggiore utilità per il sistema elettrico». La consapevolezza di essere di fronte ad un processo di cambiamento profondo ha portato Terna ad elaborare un piano di investimenti di lungo termine di oltre 18 miliardi di euro nei prossimi 10 anni. E ad essere convinta che l’obiettivo è quello di un’economia decarbonizzata attraverso una transizione basata su integrazione delle fonti rinnovabili, rafforzamento della capacità di trasmissione e resilienza delle infrastrutture.
ALLA TERZA DELLE ECCEZIONI, potremmo invece rispondere riprendendo quanto riportato nel recente piano energetico tedesco, www.cleanenergywire.org in cui, tra tanti obiettivi da raggiungere vi è anche l’esplicito riferimento agli aspetti sociali della transizione, proprio quelli citati in negativo dal ministro e che ne rappresentano invece una caratteristica fondamentale. In particolare, uno studio del gruppo di ricerca della Sapienza ha stimato l’impatto occupazionale associati ai nuovi impianti rinnovabili in Italia al 2030, quantificabile in circa 1,5 milioni in termini di posti di lavoro temporanei per la costruzione e l’installazione degli impianti e 50 mila posti di lavoro permanenti per la gestione e la manutenzione degli stessi. E’ stato possibile notare come la creazione di green jobs sia potenzialmente maggiore dei posti di lavoro persi nel settore fossile, approssimativamente di un fattore 3.
IL CITATO PIANO TEDESCO presentato lo scorso aprile da Robert Habeck, super ministro dei Verdi per economia e protezione climatica nella coalizione semaforo di governo, punta all’80% di produzione rinnovabile nel mix elettrico entro il 2030, per arrivare quasi al 100% di elettricità verde entro il 2035. Dal 2025 la Germania vuole installare 10-15 GW di nuova energia eolica ogni anno e vuole quadruplicare la capacità esistente degli impianti fotovoltaici a 215 GW entro il prossimo decennio. Anche la Gran Bretagna, come la Germania, ha stabilito di ridurre del 65%-68% le emissioni di anidride carbonica al 2030. In Spagna la legge per il clima e la transizione energetica punta ad azzerare le emissioni di CO2 entro il 2050 e prevede di portare le fonti rinnovabili al 74% del mix elettrico nazionale al 2030, con 60 GW installati. Il principale traguardo del governo UK al 2030 è avere fino a 50 GW di eolico offshore grazie a una riforma delle procedure autorizzative per tagliare da 4 anni a 1 anno i tempi per approvare i nuovi progetti e a nuove aste basate sui contratti per differenza (CfD, Contracts for difference). Il fotovoltaico dovrebbe invece quintuplicare la sua potenza totale installata, passando dagli attuali 14 GW a circa 70 GW nel 2035. Anche per la Francia, nonostante il nucleare, l’obiettivo è il 32% di rinnovabili al 2030.
TUTTI QUESTI NUMERI sono la conferma di una volontà chiara e decisa, pur nelle differenze dei singoli stati membri, di essere parte di una Europa e della sua strategia per un progressivo e urgente abbandono delle fonti fossili. Per convincersene basta leggere attentamente il recente documento REpowerEU, che analizza le difficoltà di una strategia molto ambiziosa e individua le modalità operative per realizzarla. In Italia no.
L’Italia appare incerta e ondivaga e questo clima di incertezza fa male al nostro Paese. Le ultime aste di fine maggio hanno assegnato solo 443 MW su 3355, meno del 15%, mentre nel resto d’Europa vanno a gonfie vele. E’ questa politica di retroguardia che fa male al nostro Paese.
* Prorettore Sapienza Università di Roma e Presidente Coordinamento FREE