Rilanciamo una stimolante riflessione di Beppe Casadio, ricevuta attraverso la mailing list, su un tema di grande attualità.
C'é un tema che domina da qualche settimana le cronache politiche con inusitata asprezza. Non è nuovo; nuova è la veemenza con cui gli attori reggono le rispettive parti. Mi riferisco alla polemica fra Renzi e l'Europa; o meglio: alle invettive che il nostro Presidente del Consiglio indirizza a molti vincoli che dalle autorità europee derivano alle scelte del suo Governo. E' trasparente, a volte del tutto esplicito, chi ne siano i destinatari: Frau Merkel, il Presidente Junker, innanzitutto. Che si tratti di banche, di vigilanza sui bilanci nazionali, di sostegno agli investimenti, di politiche immigratorie o altro. Politiche di rigore piuttosto che promozione della crescita, per dirla con sintesi estrema.
Il problema è reale e tutt'altro che nuovo. Inoltre le parole d'ordine sostenute dal nostro, su molti di questi punti di merito, appaiono condivisibili e, non da oggi, sostenute da gran parte della miglior cultura politica ed economica; perché dunque stupirsene? Dove sta l'anomalia? Verrebbe da dire: bene! siamo d'accordo.
Invece c'è qualcosa che non convince, che puzza di opportunismo.
Non si tratta di un sospetto viziato da pregiudizio nei confronti di chi guida il nostro Governo, né di insofferenza per i suoi modi da bulletto di provincia. Basta ripensare a come sono andate le cose nel corso degli ultimi due anni.
Il PD guidato da Renzi ottenne un risultato ottimo, quasi insperato, alle elezioni europee del 2014; tanto più positivo se confrontato con i risultati degli altri principali paesi europei.
Dunque Renzi poteva - e doveva - porsi in quel momento come capofila delle forze progressiste d'Europa; in tale veste avrebbe dovuto promuovere e farsi immediatamente portatore di una strategia di rilancio della identità
europea, dopo gli anni di declino a cui l'avevano ridotta da una parte l'inadeguatezza della presidenza di Barroso e, dall'altra, il diffuso insorgere di nazionalismi in molti paesi del continente (basti pensare, emblematicamente, alla Francia). Forse la stessa Merkel, in quel momento, avrebbe ritenuto utile e opportuno trovare un interlocutore forte e legittimato - più del malconcio Hollande - nel campo delle forze progressiste su scala continentale.
Ovviamente, in tale scenario (ahimè del tutto ipotetico), Renzi e il suo Governo avrebbero dovuto essere portatori e protagonisti di una vera e propria "strategia per l'Europa", armonizzando ad essa anche le priorità del Governo nazionale, aggregando attorno ad essa le altre forze progressiste del nuovo Parlamento e gestendo su questi presupposti il confronto e la trattativa con il PPE e la Merkel per definire la nuova Commissione e il suo programma. Un impegno difficile, ed anche "scomodo", non v'è dubbio.
In realtà il nostro, in quei mesi, si è limitato ad esibire - petto in fuori - il risultato elettorale in occasione dei vari vertici; ha gestito il "semestre di presidenza di turno" nella sostanziale burocratica continuità; ha avanzato con clamore alcune rivendicazioni di bandiera (vedi la "grande battaglia" per la Mogherini alto Commissario). Ma nessun cittadino europeo ha percepito che i destini del continente fossero davvero oggetto di un confronto politico strategico in quei mesi. Anzi: ciò che si è visto è stato il drammatico balletto attorno ai destini della Grecia.
Così l'idea stessa di Europa è rimasta prigioniera della sua immagine sempre più sbiadita. Di fronte alle emergenze (vecchie e nuove) essa si incupisce; sorgono muri; si ripristinano frontiere; si discute di "flessibilità" (termine incomprensibile ai più) per significare qualche 0,1% sui bilanci nazionali. L'Europa, cioè, continua ad essere una entità estranea se non ostile per gli europei, anziché il loro orizzonte ideale.
Le responsabilità per tutto ciò vanno equamente suddivise; perfino ciascuno di noi cittadini è chiamato in causa. Tanto più, quindi, chi regge responsabilità di governo nei vari paesi.
Per queste ragioni si avverte "puzza di opportunismo" quando il nostro Presidente del Consiglio, per le responsabilità che porta e per le opportunità che ha avuto, pronuncia ultimatum, batte i pugni sul tavolo, si pone in termini esplicitamente rivendicativi verso un'Europa da cui prende le distanze, dichiarandosene così - esplicitamente od implicitamente - estraneo, in ragione di interessi nazionali. Puzza di opportunismo anche se e quando i singoli specifici argomenti addotti sono giusti e condivisibili.
Tanto una gita a Ventotene, per lucidarsi le medaglie, si può sempre fare; nel frattempo meglio pensare alle prossime scadenze elettorali (amministrative, referendum, politiche dopo poco).
E pazienza se nel frattempo si fanno ancor più strada le tendenze nazionalistiche e anti- europee.
Giuseppe Casadio
3 febbraio 2016