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Gentile direttore, 
oggi 25 Aprile 2015 ho partecipato alla commemorazione della liberazione nel settantesimo anniversario.
Sono arrivata in piazza venendo da corso Garibaldi e il primo banchetto che mi si è parato davanti agli occhi è stato quello di forza nuova i cui predecessori degli attuali militanti erano quelli che distribuivano botte e olio di ricino a gogò.
Come dire che stavano alla commemorazione come il diavolo e l'acqua santa.
Arrivata in piazza con mio grande stupore mi sono accorta che la piazza, denominata “del popolo”, era completamente occupata dai banchetti del mercato oltre che da quelli delle forze politiche che facevano campagna elettorale.
La cerimonia si è svolta in un piccolo spazio sotto la torre dell'orologio nella confusione e nel via vai più totale fra gente che faceva shopping ed era anche piuttosto irritata dall'intrusione del piccolo drappello.
Poi ci siamo trasferiti a fianco dello scalone del comune per scoprire una lapide che commemora un martire della liberazione.
Abbiamo dovuto fare una sorta di slalom fra banchetti, biciclette, gente scocciata che non poteva circolare

regolarmente, e dopo aver ascoltato la storia di questo uomo giusto nell'indifferenza di una piazza in tutt'altre faccende affaccendata finalmente ci siamo tolti “di mezzo?”
Farò un salto nel tempo, mio padre tra gli anni 40 e 45 ferroviere era di servizio alla stazione di Compiobbi, mio paese natale, prima stazione dopo Firenze andando verso nord sulla diretta, allora, Napoli, Roma, Firenze, Bologna, Milano.
Il capostazione dell'epoca che anch'io ho conosciuto tutte le volte che poteva faceva fermare i treni merci carichi di deportati che andavano verso i lagher nazisti fuori stazione, cercava di tenerli fermi il più possibile e insieme al personale cercava di aprire qualcuno dei vagoni, mio padre diceva che qualche volta c'erano riusciti.
Qualcuno e' riuscito a scappare dileguandosi nelle colline sovrastanti.
Comunque da questi vagoni bestiame cadevano come pioggia, come coriandoli, bigliettini bianchi che cadevano sui binari e la notte diveniva chiara come se fosse caduta la neve.
Il personale della stazione si affrettava a raccogliere tutto quanto era possibile.
“Sono Giorgio Pecchioli avvertite la mia famiglia che mi hanno portato via e che sono passato da qui.”
“Sono Osvaldo Nonni, la mia famiglia non sa dove mi trovo, vi prego, cercateli.”
Questi uomini e donne come quel capostazione che metteva a rischio la sua vita e quella dei suoi subalterni per cercare di salvare delle vite umane sono stati messi all'angolo, in un giorno di mercato, fra compratori e venditori di merci, fra propaganda elettorale e indifferenza generale.
Il tempo è denaro e il commercio non si ferma, la modernità, la velocità ha ingoiato il tempo e lo spazio e non ne è rimasto per riflettere e ricordare. 

Rita Menichelli