UE. Garcia Pérez (S&D): «Nessun assegno in bianco». Il Ppe spinge per imbarcare la destra di Meloni
Ursula von der Leyen - Geert Vanden Wijngaert/ Ap
È lastricata di tanti incontri la strada di Ursula von der Leyen verso la rielezione. Oggi vedrà i liberali di Renew e i Greens, che della maggioranza in linea di principio non fanno parte. Ieri i popolari del Ppe e i socialisti, pilastri dell’alleanza.
Nessun incontro con il raggruppamento dei Patrioti per l’Europa, lanciato da Viktor Orbán lunedì, che si è imposto come terzo gruppo all’Eurocamera e di cui fanno parte il Rassemblement national di Le Pen e la Lega di Salvini.
La data cerchiata in rosso è il 18 luglio, quando l’assemblea di Strasburgo si riunirà per eleggere la presidente indicata dai capi di Stato e di governo nel Consiglio europeo di fine giugno. La maggioranza c’è sulla carta (400 voti a fronte della soglia di 361), ma deve fare i conti con il voto segreto e con i franchi tiratori (il presidente del gruppo Ppe Weber hai chiesto ai suoi 188 eurodeputati di essere presenti al 100%).
DAI SOCIALISTI von der Leyen non avrà un «assegno in bianco», scandisce la capogruppo Iratxe Garcia Pérez. Priorità per S&D sono «un commissario alla Casa, il Green Deal e l’economia sociale, i diritti dei lavoratori, l’eguaglianza di genere». E nessun accordo con l’estrema destra.
Quanto al Ppe, raggruppamento più numeroso a Strasburgo, il principale problema di von der Leyen e di Weber riguarda le alleanze: la gran parte del popolari, compresa Forza Italia, si oppone alla possibilità di imbarcare i Verdi europei, che potrebbero però portare in dote 54 voti.
Gli ecologisti, guidati dall’olandese Bas Eickhout e dalla tedesca Terry Reintke, sono orientati ad aggiungere i loro voti anche senza un accordo formale, con l’idea di condizionare la prossima Commissione sulle materie a loro più care, come Green deal e diritti.
Oggi si capirà se la disponibilità diventerà concreta e come verrà trovata una quadra per non irritare le componenti Ppe più ostili agli ambientalisti.
DA GIORNI POI GLI ITALIANI del Ppe, con Fi e Tajani, premono verso un allargamento della maggioranza verso FdI, che con 24 eurodeputati rappresenta la prima delegazione Ecr in termini numerici. La freddezza del partito di Meloni verso il gruppo dei Patrioti è evidente.
La distanza da Orbán e dalla sua traiettoria politica di rottura, soprattutto sul tema Ucraina, già vista plasticamente nell’incontro bilaterale di fine giugno a Palazzo Chigi, si è ulteriormente accentuata. La mancata vittoria della destra lepenista in Francia, che ha fatto tirare un sospiro di sollievo ai vertici Ue, rappresenta anche una spinta al dialogo con il centro di Ecr.
La premier Meloni ha fatto un grave errore, confondendo il suo ruolo di leader di partito con quello istituzionale di presidente del Consiglio
Per questo, gli occhi di tutti a Bruxelles sono puntati verso l’incontro chiarificatore tra von der Leyen ed Ecr. «Meloni ha fatto un grave errore, confondendo il suo ruolo di leader di partito con quello istituzionale di presidente del Consiglio», dice al manifesto Sandro Gozi, eurodeputato di Renew, che ieri ha accolto il parlamentare irlandese Ciaran Mullooly, salendo così a 77 membri, ovvero giusto un seggio sotto Ecr.
Parte della maggioranza Ursula bis, i liberali incontrano oggi von der Leyen. «La prima delle nostre priorità è quella dello Stato di diritto», afferma ancora Gozi riferendosi al pericolo rappresentato dall’attivismo del premier ungherese, che nei primi giorni della presidenza di turno del Consiglio Ue si è recato in visita, oltre che a Kiev, a Mosca e poi a Pechino.
Oggi, nella riunione dei diplomatici, circa venti paesi capeggiati dalla Polonia intendono mettere sotto accusa Budapest per le «iniziative di pace» non concordate con i partner.
RIGUARDO ALLA DIREZIONE che l’allargamento della maggioranza dovrebbe prendere per garantire la rielezione di von der Leyen, il macroniano Gozi chiarisce: «Nessun problema ad accogliere i Verdi, che si sono dimostratici affidabili e pragmatici. Ma diciamo no ad un accordo strutturale verso Ecr». Una posizione, la sua, condivisa dai socialisti, ma che conferma quanto sia complicata la soluzione del rebus riconferma per la presidente della Commissione.
INFINE, L’ESTREMA DESTRA è prossima al lancio di un nuovo gruppo: L’Europa delle nazioni sovrane. L’annuncio dai cechi di Svoboda a Prímá demokracie. Il gruppo ospiterà l’AfD (che era stato espulso da Id), l’ultradestra polacca di Konfederacja, gli spagnoli di Sé Acabó La Fiesta, i bulgari di Revival e Sos Romania. E forse l’eurodeputata francese Sarah Knafo, compagna di Eric Zemmour
Commenta (0 Commenti)È iniziato a Washington il summit della Nato «globale», con al centro la guerra che l’Ucraina non deve perdere, le tensioni in aumento nell’Indo-Pacifico e la corsa al riarmo degli alleati. Ma occhi puntati sulle condizioni di Joe Biden, comandante in capo mai così in bilico
VERTICE A WASHINGTON. Zelensky invitato speciale, a caccia di F16. Per il presidente Usa quasi un test attitudinale. Spagna e Italia osservate speciale, tra i Paesi Ue sono le sole a non spendere il 2% del Pil in armamenti
Washington, Joe Biden nella Cross Hall della Casa Bianca - Jacquelyn Martin/Ap
Si è aperta ieri a Washington la riunione dei rappresentanti dei membri della Nato che durerà fino all’11 luglio. Il summit ha una forte valenza simbolica, in quanto commemora i 75 anni dell’Alleanza atlantica, e si tiene in un momento molto delicato per gli equilibri geopolitici globali.
Al centro dei dibattiti ci sarà ovviamente l’Ucraina, con Zelensky come invitato speciale, ma sono molti i dossier aperti. Dall’aumento delle spese militari dei Paesi dell’Ue, che secondo gli impegni dovrebbero superare almeno la soglia del 2%, a Taiwan, passando per l’Africa, su cui il governo italiano vorrebbe portare il focus, e il Medioriente.
I RIFLETTORI SARANNO PUNTATI costantemente su Joe Biden che non potrà permettersi nessun
Leggi tutto: Riflettori puntati su Biden al summit della Nato «globale» - di Sabato Angieri
Commenta (0 Commenti)Il 2025 potrebbe essere l’anno dei referendum. Oltre a quelli della Cgil contro il Jobs Act e per il lavoro dignitoso e a quello sull’autonomia differenziata, depositato il 5 luglio scorso, gli italiani potrebbero recarsi alle urne anche per esprimersi sulla rappresentanza. Il comitato referendario Io voglio scegliere, composto dall’ex ministra Elisabetta Trenta, dall’ex parlamentare Giorgio Benvenuto, da Sergio Bagnasco, dal giurista Enzo Palumbo e Raffaele Bonanni, già segretario generale Cisl, ha depositato il 23 aprile scorso in Cassazione 5 quesiti per abrogare alcune parti del Rosatellum.
In particolare il voto congiunto obbligatorio che consente di eleggere direttamente i candidati nei collegi uninominali che, quindi, non sarebbero più imposti dalle segreterie di partito; la soglia di sbarramento; il vantaggio dei partiti già presenti in parlamento che non devono raccogliere le firme per le liste; le pluricandidature. La raccolta delle firme per questi quesiti, ispirati alle battaglie dell’avvocato Felice Besostri che aveva combattuto il Porcellum, è già partita. Rimane, come negli altri casi, l’incognita del raggiungimento delle 500 mila firme necessarie entro settembre. Intanto, per quanto riguarda l’autonomia differenziata, la Campania ha fatto da apripista al percorso referendario delle cinque Regioni guidate dal centro sinistra. Il Consiglio regionale campano ieri ha approvato, con il concorso del Movimento 5 Stelle (fuori giunta) e persino di un consigliere di Azione che a livello nazionale boccia l’operazione, la richiesta di indizione, sul cui testo dovrebbero convergere anche Emilia-Romagna, Sardegna, Puglia e Toscana.
Mentre per il governo rimane l’incognita Forza Italia. Il segretario Tajani si sta destreggiando tra il suo ruolo di vicepremier e la perplessità dei suoi sul ddl Calderoli. Perplessità che diventano opposizioni manifeste, come nel caso della Calabria. Il governatore Roberto Occhiuto, intervenendo ieri al consiglio nazionale del suo partito, è stato meno ambiguo rispetto alle settimane precedenti. «Il mio auspicio – ha detto Occhiuto – è che FI non voti, in Consiglio dei ministri e in Parlamento, alcuna intesa con singole regioni se prima non saranno interamente finanziati i Lep e se non ci sarà la certezza che determinate intese non possano produrre danni al Sud».
Occhiuto avrebbe anche manifestato insofferenza per «modi e tempi» dell’approvazione della legge sulle autonomie e incalzato il suo partito a mettere al centro «il superamento delle differenze territoriali, archiviando definitivamente la spesa storica a favore dei fabbisogni standard». La mossa di Tajani di creare un osservatorio potrebbe rivelarsi inutile a placare parte del partito.
FRANCIA. Olimpiadi imminenti: il presidente rifiuta le dimissioni di Attal. I capi del Nuovo fronte popolare in conclave per trovare un nome
Il primo ministro Gabriel Attal ha presentato le dimissioni. Emmanuel Macron le ha respinte «per la stabilità del paese» e permettere al governo di continuare a gestire gli affari correnti, almeno durante il periodo delle imminenti Olimpiadi di Parigi. Dopo il grande sollievo di domenica sera, il successo del “fronte repubblicano”, dei “castori” che hanno costruito uno sbarramento abbastanza alto per impedire l’arrivo al potere del Rassemblement National, finito in terza posizione, la Francia si conferma divisa in tre blocchi di dimensioni non molto diverse: 182 seggi per la sinistra, 168 per il centro di Ensemble, 143 per l’estrema destra. Dietro il Nuovo Fronte Popolare, in testa, seguito dai macronisti, il mondo politico non può dimenticare che l’estrema destra cresce enormemente. Il Rn aveva 17 deputati nel 2017 all’inizio della presidenza Macron e oggi lo hanno votato 10 milioni di persone. Si apre un periodo di forte instabilità nel paese. La V Repubblica non è un regime basato sulle coalizioni, ma il nuovo panorama del paese spinge a un cambiamento di approccio, più simile ai paesi limitrofi della Ue. La verticalità dell’Eliseo perde terreno e il centro del potere passa al Parlamento.
NEL NUOVO Fronte Popolare già domenica notte sono iniziati i negoziati tra i partiti alleati, ripresi ieri sera, per indicare il nome di un primo ministro. Potrebbe essere reso noto «in settimana» precisano Verdi e Ps. Può essere anche una personalità della società civile, già Raphaël Glucksmann (Place Publique-Ps) aveva evocato Laurent Berger, ex segretario della Confédération française démocratique du travail (Cfdt), che non aveva però risposto.
Macron deve ammettere la sconfitta, il primo ministro deve andarsene, nessun sotterfugio: il Nfp applicherà il suo programma e nient’altro
INTANTO MACRON ha deciso di prendere tempo, «aspetteremo la strutturazione dell’Assemblée Nationale», ha affermato, cioè il 18 luglio, il giorno della prima
Nella foto: La festa dopo i primi risultati del secondo turno delle elezioni legislative in place de la République, Parigi @ AP Photo/Christophe Ena, Associated Press/LaPresse
Nel giorno in cui saranno definitivi i risultati, con la Francia che ha fermato l’avanzato dell’estrema destra, il Lunedì Rosso di questa settimana si apre con le analisi di due elezioni che potrebbero cambiare i destini di Regno Unito e Iran. A Londra, è tornata l’era Labour ed è arrivato il momento di Keir Starmer, “un leader ambiguo, lontano anche dalla Terza via”; a Teheran si insedierà Massoud Pezeshkian, “un presidente sotto stretta sorveglianza”. Intanto in Italia torna al centro la questione del sovraffollamento delle prigioni, con il ministro Nordio che ha illustrato il decreto «svuota-carceri», poi ribattezzato «carcere sicuro».
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i seggi del nuovo parlamento francese dopo il secondo turno delle legislative