È aumentato il numero di domande presentate su ‘Sfinge Alluvione 2023’, il portale attraverso il quale le imprese e le famiglie, colpite dagli eventi alluvionali di maggio 2023 nel territorio della regione Emilia-Romagna, possono compilare e inoltrare le richieste di rimborso. La situazione però resta “preoccupante e critica”, per usare le parole del sindaco di Faenza Massimo Isola.
Imprese
Dall’analisi dei dati fino al mese di luglio - riferisce una nota dell’Unione Romagna Faentina - le domande pervenute dalle imprese sono 106; di queste 20 sono state chiuse positivamente, 80 sono in corso di istruttoria e 6 sono state ritirate dai richiedenti stessi per diverse motivazioni: errata o carente compilazione e dunque dovranno essere ripresentate. Relativamente alle 20 domande presentate dalle imprese che hanno avuto esito positivo il contributo concesso, per i soli danni strutturali, è stato di 635.506,45 euro.
Famiglie
Per quanto riguarda le famiglie, le domande presentate attraverso la piattaforma Sfinge sono state 223: 81 sono state chiuse positivamente, 124 sono in fase di istruttoria e 18 ritirate dai richiedenti. Anche in questo caso, per i soli danni strutturali, il contributo concesso per le 81 già ‘chiuse’ ammonta a 2.854.356,79 di euro.
Le tempistiche
Per le domande presentate dalle imprese, il tempo medio di ‘lavorazione di primo livello’, pratica seguita dagli uffici dell’Unione in riferimento al controllo formale, è di 8,07 giorni; il tempo medio di risposta dell’utente all’eventuale richiesta di integrazione è di 7,73 giorni. Il tempo totale calcolato dalla data di presentazione della domanda alla chiusura positiva dell’istruttoria di secondo livello, che comprende la valutazione di merito e la proposta di decreto del commissario straordinario, è di 113,33 giorni. Per le domande presentate dalle famiglie, il tempo medio di lavorazione dell’istruttoria di primo livello è di 12 giorni; il tempo medio di risposta dell’utente all’eventuale richiesta di integrazione è di 5,74 giorni; il tempo totale calcolato dalla data di presentazione della domanda fino alla chiusura positiva dell’istruttoria di secondo livello, quindi comprensivo della valutazione di merito e della proposta di decreto del commissario, è stato di 82,41 giorni.
Isola: “Situazione preoccupante”
“I numeri forniti dai nostri Uffici - sottolinea il sindaco di Faenza e presidente dell’Unione, Massimo Isola - fotografano una situazione preoccupante. Le domande presentate e quelle ammesse, sia per le famiglie che per le imprese, sono numericamente basse. D’altra parte, però si rileva che in questo momento, all’esito positivo dell’istruttoria della pratica, viene erogato immediatamente il 50% del contributo riconosciuto, ben oltre a quanto previsto dalle ordinanze. L’Unione della Romagna Faentina ha dedicato personale presso lo sportello emergenza per affiancare i cittadini e le imprese nel disbrigo delle pratiche per le richieste di rimborso. I tecnici stanno lavorando alacremente anche se la complessità e l’impatto burocratico delle ordinanze ci portano ad affermare che è ancora lontano l’obiettivo fissato di rendere semplice il modo e rapidi i tempi di riconoscimento di contributo. A questo bisogna aggiungere che il rimborso massimo per i beni mobili per ogni famiglia è fissato ad oggi a 6mila euro; questi due scenari evidenziano una situazione ancora critica. I dati oggettivi dai nostri Uffici spingono a chiedere, alla struttura commissariale e al governo, di accelerare i tempi affinché i nostri cittadini, dopo tanti mesi dai fatti alluvionali, possano avere maggiori certezze”.
Commenta (0 Commenti)IL ROVESCIO DELLA MEDAGLIA . Un contro-diario olimpico. Cosa succede a Parigi mentre il mondo ha gli occhi puntati sui Giochi
Nelle sale stampa e negli impianti sportivi, cibo e bevande sono vendute da Coca-Cola; su place de la Concorde, a due passi dagli stadi di BMX e skateboard, un gigantesco stand di Alibaba promette un’esperienza consumistica di grido; gli atleti ricevono in dono al loro arrivo al villaggio olimpico dei telefoni Samsung, come se non bastassero i gazebo che l’azienda ha piazzato un po’ ovunque, nel gigantesco press center a Porte Maillot così come attorno agli stadi; se si vuole pagare qualcosa, bisogna farlo con una carta Visa, l’unica accettata a Parigi 2024, poiché sponsor ufficiale dei giochi.
Le Olimpiadi sono una grande celebrazione del capitale internazionale. Un grigio, pantagruelico festino di marche, loghi e pubblicità, una fredda orgia di merce e di consumismo destinata a sommergere i sensi dello spettatore.
Nessuna multinazionale incarna questo particolare aspetto dello spirito olimpico meglio di LVMH, il gruppo francese del lusso che possiede marche come Dior, Louis Vuitton, Sephora e Givenchy (tra numerosissime altre), di proprietà del miliardario Bernard Arnault. Per 150 milioni di euro “donati” al comitato organizzatore, LVMH si è letteralmente comprata i giochi: gli champagne prodotti dalle sue filiali innaffiano le zone Vip, le divise e i vestiti di gala usciti dai suoi atelier vestono gli atleti francesi, le medaglie sono state concepite dai suoi gioiellieri, persino le valigie nelle quali ha viaggiato la fiaccola olimpica sono state prodotte dalla sua filiale più importante, Louis Vuitton. Bernard Arnault, il padrone del gruppo, è l’uomo più ricco del mondo (o quasi: si gioca il primato con Jeff Bezos). Ha seguito la cerimonia d’inaugurazione delle Olimpiadi da una terrazza privata in cima alla Samaritaine, il grande magazzino proprietà di LVMH situato praticamente davanti al Louvre, in “un pavillon a forma di valigia Louis Vuitton, costruito a luglio al decimo piano” del palazzo, scrive Le Monde.
In teoria, le regole del CIO vietano la pubblicità all’interno degli stadi. Ma per corporation come LVMH, sono le eccezioni a essere la regola.
Così, ogni qual volta si dovranno premiare degli atleti, le medaglie saranno portate su palchi e podi da dei volontari muniti di grandi valigie siglate Louis Vuitton. Certo, non ci saranno loghi né scritte; ma il motivo “LV” è esso stesso un simbolo riconosciuto in tutto il mondo. Un simbolo che comparirà durante ognuna delle 871 cerimonie di questo tipo previste durante le Olimpiadi e le paralimpiadi, che apparirà su ogni schermo del pianeta per settimane, fino a restare impresso, indelebile, nelle retine degli spettatori del mondo intero
Commenta (0 Commenti)Un missile israeliano uccide a Teheran il capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh. In un colpo solo Netanyahu infiamma lo scontro con l’Iran e si fa beffe della diplomazia globale: dialogo su Gaza affossato, ostaggi sacrificati e l’intero Medio Oriente sull’orlo di un rogo
MEDIO ORIENTE. Haniyeh era in Iran per incontrare gli alleati. Medio Oriente sull’orlo della guerra totale. La Repubblica islamica promette di reagire, ma c’è chi spera che prevalga la via diplomatica
Teheran, in marcia per Haniyeh - Ap/Vahid Salemi
Il silenzio della calda notte del 30 luglio nel ricco quartiere nord della capitale iraniana viene interrotto da una forte esplosione alle 1.45 ora locale. Quattro ore dopo, un comunicato delle Guardie della Rivoluzione conferma l’assassinio di Ismail Haniyeh, leader dell’ufficio politico del movimento palestinese Hamas, e di una delle sue guardie del corpo.
Anche senza una dichiarazione ufficiale, è evidente il coinvolgimento israeliano, che segna un’importante escalation e aumenta i timori di una guerra totale in Medio Oriente. E che arriva meno di 24 ore dopo l’attacco israeliano, definito «operazione di assassinio mirato», contro il comandante di Hezbollah Fuad Shukr a Beirut.
HANIYEH si trovava in Iran per partecipare alla cerimonia di giuramento del neoeletto presidente iraniano, Masud Pezeshkian, a cui avevano preso parte decine di delegazioni straniere, tra cui ministri e funzionari di Cina, Turchia, Arabia saudita, Egitto e Sudafrica. «Il legame tra le orgogliose nazioni dell’Iran e della Palestina sarà più forte di prima, e il percorso della resistenza e della difesa degli oppressi sarà seguito con maggiore determinazione – ha scritto il neo-presidente iraniano – Difenderemo la nostra integrità territoriale, il nostro onore e la nostra dignità e faremo pentire gli occupanti codardi delle loro azioni».
Il leader supremo Ali Khamenei ha dichiarato: «Il regime criminale e terrorista sionista ha martirizzato il nostro caro ospite nella nostra casa e ci ha rattristati, ma ha anche preparato per sé una dura punizione». Da anni, Israele ricorre a sabotaggi, rapimenti e omicidi mirati sul territorio iraniano. Tuttavia, dopo la rappresaglia missilistica e con droni dell’Iran su territorio israeliano in risposta al bombardamento del suo consolato a Damasco, sembrava che la tensione fosse momentaneamente diminuita.
«L’uccisione del leader di Hamas sul suolo iraniano soddisfa sia i falchi israeliani, che non hanno remore nel creare una guerra totale e non si preoccupano nemmeno della vita dei loro ostaggi, sia i super-falchi del nostro regime, che vogliono affossare il nuovo governo riformista e mantenere i loro poteri e privilegi – spiega un analista iraniano al manifesto, che ha chiesto l’anonimato – La precisione dell’attacco mostra non solo il fallimento del nostro sistema di sicurezza, ma anche, con molte probabilità, la complicità all’interno dei servizi di sicurezza del paese e delle guardie del
Leggi tutto: Missile israeliano su Teheran, ucciso il capo politico di Hamas - di Francesca Luci
Commenta (0 Commenti)REAZIONI INTERNAZIONALI. Londra posticipa l’embargo alle armi per Tel Aviv. Lammy: «Servono per la difesa»
Mentre i servizi d’emergenza libanesi stanno ancora scavando sotto le macerie del palazzo colpito da un drone israeliano alla periferia meridionale di Beirut, dal mondo sono arrivate le prime reazioni.
Prudenti gli Usa che tramite la portavoce della Casa bianca, Karine Jean-Pierre, hanno dichiarato che «la guerra totale tra Israele e Libano si può ancora evitare» senza menzionare mai l’attacco di Tel Aviv. Poco dopo la Cnn ha rivelato, citando una fonte anonima, che il governo di Netanyahu aveva informato Washington in anticipo. La fonte della tv statunitense ha aggiunto che l’informazione è stata scambiata a livello degli apparati di sicurezza, ma non ha specificato quando sarebbe avvenuto lo scambio. Più perentoria la Russia, che dal ministero degli Esteri ha denunciato «un attacco che è una palese violazione del diritto internazionale».
TRA I PRIMI a prendere parola anche i rappresentanti italiani. La premier Meloni, da Pechino, si è detta «molto preoccupata per ciò che sta accadendo in Libano, per il rischio di un’escalation regionale, proprio mentre sembrava che ci potessero essere degli spiragli». Meloni ha anche dichiarato che la responsabilità è di quei «diversi soggetti regionali che puntano a un’escalation e che puntano sempre a costringere Israele a una reazione, lo dico anche per invitare Israele a non cadere in questa trappola». Da Roma, il ministro degli Esteri Tajani si è limitato a «sperare che sia soltanto una reazione di Israele e che non ci sia una escalation». Inoltre, data la presenza della missione Unifil nel sud del Paese che è guidata dai militari italiani, Tajani ha anche aggiunto che «i soldati italiani presenti in Libano sono messi in sicurezza ma come ho chiesto al ministro della Difesa, Guido Crosetto, vogliamo sapere dalle Nazioni unite che regole di ingaggio dare visto che la situazione sta cambiando di giorno in giorno».
Hamas e l’Iran hanno invece condannato subito il raid israeliano definendolo una «pericolosa escalation» e una «palese violazione» della sovranità del Libano.
PRIMA DELL’ATTACCO il governo britannico aveva deciso di ritirare la proposta di legge che ponesse l’embargo sull’esportazione di alcune armi a Israele, dato il conflitto in corso a Gaza. Ora invece, in seguito al razzo caduto sulle alture del Golan che ha ucciso 13 bambini in un campo da calcio e determinato la promessa di una reazione da parte di Israele, Londra ha cambiato idea. In una dichiarazione ai parlamentari britannici, il ministro degli Esteri, David Lammy, ha detto: «Sosteniamo il diritto di Israele a difendersi in linea con il diritto umanitario internazionale. Si trova in un momento difficile, minacciato da coloro che vogliono annientarlo». Lammy ha dichiarato che in termini di sospensione delle vendite vuole fare una distinzione tra le armi utilizzate da Israele per la guerra a Gaza e quelle utilizzate a scopo difensivo. Ma questa distinzione si sta rivelando più difficile da tracciare nella legge, oltre che politicamente impegnativa.
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Proclamato ieri come presidente per il periodo 2025-2031 presso la sede del Consiglio nazionale elettorale (Cne), Nicolás Maduro ha ora di fronte a sé l’ardua sfida di convincere la parte del mondo che non lo ama di aver vinto legittimamente le presidenziali di domenica.
Non sarebbe stato comunque sufficiente, non lo è mai stato una sola volta, che il sistema elettorale venezuelano sia tra i più affidabili al mondo, sottoposto com’è a ben 16 verifiche prima, durante e dopo il voto alla presenza di rappresentanti di tutti i partiti e di osservatori nazionali e internazionali. Un sistema a prova di brogli, persino da parte di un governo che non si è fatto tanti scrupoli a ostacolare le candidature dei suoi avversari, specialmente quelle alla sua sinistra, e di impedire il voto a un enorme numero di venezuelani all’estero, presumibilmente poco propensi a sostenere Maduro.
LA BONTÀ del sistema di voto in Venezuela sarebbe in ogni caso irrilevante per la destra radicale, convinta, come già aveva evidenziato in campagna elettorale, che una vittoria di Maduro sarebbe stata possibile solo con i brogli. Coerente con il suo intento di non accettare altro risultato che non fosse quello gradito, María Corina Machado ha prontamente rivendicato la vittoria per sé e per il suo candidato: «Abbiamo raccolto più del 73% dei voti, e il nostro presidente eletto è Edmundo González», ha dichiarato in conferenza stampa, affermando che i voti per il candidato dell’opposizione supererebbero i 6 milioni e mezzo, contro i 2 milioni e 700mila (per l’esattezza, 759.256) per Maduro. Dati considerati non plausibili pure da chi non è necessariamente schierato con il governo.
Ma Machado è andata oltre, sostenendo di avere già la prova «matematica e incontrovertibile della vittoria», che sarà resa disponibile attraverso un portale web «a cui l’elettore venezuelano può accedere inserendo i propri dati personali e in cui potrà trovare la propria scheda, in modo tale che ciascun elettore potrà validare il proprio voto e vedere se corrisponde con quello che è stato inserito».
NELL’ATTESA, divampano in tutto il paese le proteste, anche violente, dell’opposizione – il cui portavoce Perkins Rocha parla di «almeno tre morti nelle contestazioni ad Aragua» -, finora controllate dalle forze di sicurezza. Mentre si mobilitano anche i sostenitori di Maduro, decisi a riconquistare le piazze cittadine.
A risultare decisiva, però, potrà essere solo la divulgazione dei dati ufficiali – i registri di voto di ciascuno degli oltre 30mila seggi – garantita dal procuratore generale del Venezuela Tarek William Saab «nelle prossime ore», non appena, evidentemente, sarà stata ripristinata la pagina web del Cne, ancora inaccessibile in seguito all’attacco informatico al sistema di trasmissione di dati denunciato da Maduro, che, secondo il procuratore, sarebbe stato coordinato dalla Macedonia del Nord (e per il quale Machado è stata indagata). Ma più le ore passano più è a rischio la credibilità del presidente in carica, il quale, da parte sua, denuncia un nuovo tentativo di golpe «di carattere fascista e controrivoluzionario», «una sorta di Guaidó 2.0».
E PROPRIO di questo Maduro avrebbe parlato con il consigliere speciale di Lula per gli affari internazionali Celso Amorim, che si incontra ancora a Caracas come osservatore elettorale per conto del governo brasiliano. «Ci sono vari gruppi di opposizione – gli avrebbe detto il presidente venezuelano – che vogliono un’alternativa democratica e pacifica. Ma questo è un gruppo fascista. Non ci troviamo di fronte a un’opposizione democratica, ma a una controrivoluzione violenta, fascista e criminale. Non mi stancherò di spiegarlo al mondo».
DIFFICILMENTE però il mondo si convincerà, senza i dati dettagliati della votazione, malgrado la cautela tutto sommato fin qui mostrata dal governo Biden, il quale sembra intenzionato a coordinarsi con altri governi latinoamericani e in particolare con il Brasile di Lula, con il quale sosterrà un colloquio telefonico proprio per discutere sulle elezioni in Venezuela. E non si convincerà di sicuro l’Unione europea, che in una dichiarazione piuttosto dura sull’intero processo elettorale – su cui l’Ungheria ha messo il veto – esclude qualsiasi riconoscimento «fino a quando non saranno pubblicati e verificati tutti i registri ufficiali dei seggi elettorali».
NEI CONFRONTI invece di chi non si è limitato a esprimere dubbi, ma ha denunciato più o meno esplicitamente eventuali brogli, la risposta del governo è stata molto decisa: è di ieri l’annuncio da parte di Maduro dell’espulsione del rappresentante diplomatico di Buenos Aires insieme a quelli di Cile, Costa Rica, Perù, Panama, Repubblica Dominicana e Uruguay, tutti accusati di «interferire» nel processo elettorale.
Israele bombarda Beirut e rivendica l’uccisione del numero 2 dell’ala militare di Hezbollah. Altre fonti smentiscono: Fouad Shukr è vivo. Almeno tre gli uccisi. La guerra è fuori controllo, il Medio Oriente è sul baratro. E la città drusa di Majdal Shams implora: «Fermatevi»
ISRAELE/LIBANO. Tel Aviv rivendica: abbiamo colpito Fouad Shukr, numero 2 dell’ala militare del gruppo. Ma altre fonti smentiscono: è vivo
Le macerie del palazzo colpito nel quartiere di Haret Hreik - foto Ap/Hussein Malla
Sono ore di grande confusione a Beirut, tra notizie e smentite. Dopo le sette di sera locali è risuonata una fortissima esplosione nella Dahieh, periferia a sud di Beirut a maggioranza sciita, roccaforte nella capitale di Hezbollah: è stato colpito l’ultimo piano di un palazzo nei pressi dell’ospedale Bahman, nel quartiere di Haret Hreik, centrato da un drone israeliano.
Subito dopo l’impatto, centinaia di abitanti del quartiere si sono riversati in strada, tra la paura e la curiosità di capire quale fosse stato l’effetto della tanto attesa e temuta ritorsione israeliana nei confronti di Hezbollah, dopo la morte sabato di 12 tra bambini e adolescenti nell’esplosione di un razzo a Majdal Shams, nel Golan siriano occupato.
La notizia che inizia a girare è che Fouad Shukr, numero due dell’ala militare di Hezbollah, è stato ucciso. «Il comandante responsabile dell’uccisione dei bambini a Majdal Shams è stato ucciso a Beirut», annuncia il portavoce dell’esercito israeliano Daniel Hagari su X subito dopo l’esplosione.
Per Haaretz «l’obiettivo dell’attacco israeliano a Beirut è Fouad Shukr, conosciuto anche come Hajj Mouhassin (…) considerato il numero due di Hezbollah e responsabile delle operazioni militari dell’organizzazione». Sempre su X la brevissima rivendicazione di Gallant, ministro della difesa israeliano: «Hezbollah ha attraversato la linea rossa». Notizie poi smentite dalla Reuters e da fonti interne di Hezbollah meno di un’ora dopo. Hajj Mouhassin morto o vivo non è il punto: colpisce l’approssimazione con cui viene da subito data la notizia da fonti governative israeliane – non solo dai giornali -, mettendo in evidenza la grande fretta di chiudere la partita prima ancora di avere notizie certe e una irrequietudine da parte del governo e dell’esercito israeliano.
Alle 10 di ieri sera non era nemmeno chiaro il numero dei feriti, mentre sarebbero due o tre i morti, tra loro una donna. L’uccisione di Shukr avrebbe dovuto rappresentare il secondo e importantissimo colpo messo a segno nella capitale libanese dall’inizio di questo conflitto l’8 ottobre, dopo l’uccisione di Saleh al Aruri, numero due di Hamas colpito il 2 gennaio nel quartier generale di Hamas a Mshrafieh, sempre nella Dahieh.
GLI STATI UNITI – che secondo la Cnn erano stati avvisati da Israele dell’attacco – avevano offerto
Leggi tutto: Israele bombarda Beirut: ucciso un leader di Hezbollah, forse - di Pasquale Porciello
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