L'ARMA BIANCA. Per fronteggiare i disordini dell’ultradestra il governo annuncia «un esercito permanente specializzato in servizio pubblico»
Scontri tra polizia e militanti dell’ultra-destra a Manchester foto Getty Images
«Quelli che hanno partecipato a queste violenze sentiranno tutta la forza della legge». «Tutte le persone di buon senso dovrebbero condannare questo tipo di violenza». «Avremo un esercito permanente di ufficiali specializzati in servizio pubblico in modo da avere abbastanza agenti per affrontare questo problema». Sono alcune delle dichiarazioni rilasciate dal primo ministro laburista Keir Starmer, a proposito della prima crisi interna seria di ordine pubblico da lui affrontata da quando è salito al potere un mese fa. Ieri ha presieduto un’unità speciale anticrisi.
È un’altra estate di riots, un fenomeno abbastanza periodico in società liberoscambiste e scarsamente politicizzate come quelle anglosassoni: nel 2011 fu soprattutto il proletariato urbano nero che gridava la propria emarginazione, in questi giorni è la povertà bianca di provincia, razzista e fascista a urlare il proprio odio nei confronti dell’altro incarnato dal migrante, soprattutto quello musulmano. E questi riots sono essenzialmente islamofobici.
LA PROVINCIA del Regno Unito brucia in seguito a false informazioni diffuse online secondo cui il sospettato accoltellatore che ha ucciso tre ragazze a una lezione di danza per bambini a Southport lunedì scorso, era un migrante musulmano. Il giorno successivo orde di energumeni attaccavano una moschea della cittadina del Merseyside, con scontri in cui vari agenti di polizia restavano feriti. La polizia ha finito per rivelare il nome del presunto colpevole, il diciassettenne Axel Rudakubana, nato in Gran Bretagna (Galles) da genitori ruandesi. Ma i disordini hanno continuato a dilagare in tutta la provincia del paese: a Belfast, nell’Irlanda del Nord, a Bristol nel sud-ovest dell’Inghilterra, a Londra e in numerose città delle Midlands e del nord come Blackpool, Hull, Leeds, Manchester, Middlesbrough, Stoke-on-Trent e Sunderland.+
Ancora grazie, signora Thatcher
I DISORDINI hanno preso una piega ancora più sinistra domenica a Rotherham, una città afflitta da tensioni razziali a seguito di un
Commenta (0 Commenti)Nella foto: Manifestanti assaltano un centro di accoglienza per richiedenti asilo, a Rotherham, in Gran Bretagna @GettyImages
Oggi un lunedì rosso che interroga il labile confine tra vero e falso.
La verità è sempre un punto di vista o si può restare ancorati ai fatti? Ne ha pagato le spese l’atleta algerina Imane Khelif travolta da una bufera mediatica che ha preteso di determinare la sua identità sessuale e il suo diritto alla competizione sportiva.
Ma anche la verità storica sullo stragismo è, ad ogni ricorrenza, minata dalle sfumature politiche che di volta in volta la interpretano. Si confrontano qui tre livelli: storico, politico e giudiziario.
Il punto fermo, e forse più scomodo, è la matrice neofascista. Fascismo che nonostante i buoni propositi aleggia minaccioso sul presente d’Europa.
Ne sono un esempio i riot e pogrom anti migranti che hanno scosso la Gran Bretagna. Anche quelli partiti da una fake news.
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Leggi ultimo numeroBologna, 27 luglio 2024 – La Regione Emilia Romagna ha comunicato l’apertura del secondo bando per i risarcimenti dei danni causati ai veicoli dall’alluvione del maggio 2023. Il rimborso riguarderà un maggior numero di mezzi dello scorso bando: verranno inclusi anche i furgoni a uso privato, le auto rovinate dalle frane, vendute a privati e il cui intestatario sia diverso purché dello stesso nucleo familiare. Stanziati 6 milioni per le nuove richieste, mentre 1 verrà impiegato per completare l’iter relativo al bando precedente. I devastanti effetti dell'alluvione che aveva sconvolto un'intera regione: furgoni, auto e motocicli non furono risparmiati dall'esondazione[Missing Credit] I contributi saranno...
Per farlo, bisognerà inoltrare la domanda esclusivamente sull'apposito applicativo regionale online a partire dalle ore 10 del 18 settembre 2024, fino a esaurimento dei 6 milioni di euro disponibili. Il limite temporale ultimo è il 31 dicembre 2024
Commenta (0 Commenti)E’ in arrivo a Ravenna la nave ong Geo Barents con a bordo 47 migranti: è attesa al porto mercoledì prossimo, 7 agosto, alle 19.40 circa. Attualmente si trova a 52 nm da Sabrata, zona ‘Sar Libia’. Il prefetto di Ravenna, Castrese De Rosa, ha quindi convocato per le 10 di stamattina in Prefettura una prima riunione di coordinamento per concordare con tutti gli enti coinvolti tempi e modalità per l’accoglienza delle persone recuperate dalla Geo Barents.
Quasi certamente, come già avvenuto per l’ultimo sbarco della Aita Mari il 19 luglio scorso, avverrà alla banchina di Fabbrica Vecchia a Marina di Ravenna, mentre le visite mediche e gli adempimenti di Polizia si svolgeranno al Pala De André.
Si tratta del 13esimo sbarco a Ravenna dal 31 dicembre 2022, il quarto per la Geo Barents; in totale così salgono 1.274 i migranti giunti al porto romagnolo. “La nostra- afferma De Rosa- è ormai una macchina collaudata che riesce a gestire queste situazioni con un grande spirito di squadra e umanitario e anche questa volta si farà trovare pronta per fare pienamente la sua parte”.
Commenta (0 Commenti)LIBANO. Martedì nuovo discorso del leader sciita Nasrallah. Appelli ai cittadini stranieri: lasciate il Libano. Passa in sordina il quarto anniversario della strage al porto
Il volto di Nasrallah vicino all’edificio colpito da Israele martedì - Ap/ Marwan Naamani
«Chiediamo oggi quello che chiedevamo quattro anni fa: giustizia». È lapidaria Mariana Fodoulian, presidente dell’associazione «Familiari delle vittime» dell’esplosione al porto di Beirut del 4 agosto 2020.
Tra le 235 vittime accertate c’era anche la sorella Gaia di 29 anni. 7mila i feriti, 300mila gli sfollati, mezza città sommersa dai pezzi di vetro della finestre esplose, da calcinacci e polvere. Alle 18.08, si sentono due boati, poi il fungo al porto.
LE 2.750 TONNELLATE di nitrato di ammonio, stoccate dal 2014 nell’hangar 12 del porto di Beirut, causano una delle più potenti esplosioni non nucleari della storia dell’umanità. Tutti avevano creduto a un attacco aereo e lo stesso presidente Aoun aveva nelle primissime ore parlato di un probabile bombardamento israeliano.
Dalle parole di Fodoulian viene fuori il racconto dell’ennesimo tentativo di insabbiamento e di ingiustizia perpetrata ai danni di innocenti. Il vecchio procuratore generale Ghassan Oueidat, dopo essere stato convocato dal giudice Bitar (il terzo dall’inizio del processo, ndr) come persona informata dei fatti, ha dato l’ordine di rilasciare tutte le persone fermate da Bitar, interferendo nei fatti nello svolgimento delle indagini. A febbraio, per limiti di età, è stato sostituito da Jamal Hajjar.
«C’è un tentativo di deviare il processo già difficile – dice al manifesto Fodoulian – Ouiedat ha rilasciato tutti e ha praticamente bloccato il processo. Chiediamo adesso al nuovo procuratore Jamal Hajjar di ritornare sulle decisioni del suo predecessore che noi e i nostri avvocati riteniamo illegali e di lasciar lavorare Bitar».
SONO INTANTO ORE molto complicate in Libano e nella regione intera. Il bombardamento martedì sera alla periferia a sud di Beirut, la Dahieh, roccaforte di Hezbollah, nel quale ha perso la vita il numero due della milizia/partito Fuad Shukr e altri cinque civili (un centinaio i feriti), poco prima dell’uccisione a Tehran del capo politico di Hamas Haniyeh, ha alzato il livello dello scontro tra Israele e il Partito di Dio, nonché quello con l’Iran e l’«Asse della resistenza».
L’attacco a Beirut è stato rivendicato dal premier israeliano Netanyahu come una reazione al missile che ha ucciso 12 tra bambini e ragazzi a Majdel Shams nel Golan occupato attribuito a Hezbollah, che però nega dal primo momento ogni coinvolgimento.
Si attendono ora tanto la risposta di Hezbollah quanto quella dell’Iran: da queste e dalla controffensiva di Israele dipende l’allargamento del conflitto alla regione e il coinvolgimento anche militare di attori regionali e internazionali. Sul fronte libanese, attivo dall’8 ottobre, vorrebbe dire allargare la guerra a tutto il paese e non più alle zone sotto in controllo di Hezbollah come il sud e l’est.
Secondo i media arabi e la Cnn, Hezbollah ha spostato parte del suo arsenale da Beirut verso sud per preparare l’annunciato attacco a Israele. Il leader Hassan Nasrallah terrà un discorso martedì alle 17 libanesi nel quale probabilmente chiarirà le intenzioni della milizia. Intanto continuano gli attacchi da una parte e dall’altra: ieri un ragazzo di 17 anni è morto in un bombardamento israeliano a Deir Sariane, nel sud del Libano, e altri sei ragazzi sono stati feriti.
HEZBOLLAH ha fatto sapere di aver colpito delle basi militari a Metula e il villaggio di Shlomi; l’esercito israeliano ha bombardato Khiam, Kfar Kila, Aita el Shaab. Nel pomeriggio, un drone ha fatto saltare un veicolo sulla strada tra Damasco e Beirut all’altezza di Zabadani, in Siria. Un morto, non ancora identificato.
Ieri l’ambasciata svedese ha spostato i propri dipendenti a Cipro. Il capo della diplomazia britannica Lammy ha dichiarato: «Le tensioni sono elevate e la situazione potrebbe deteriorarsi rapidamente (…) Il mio messaggio per i cittadini britannici è chiaro: partite immediatamente». L’ambasciata degli Stati uniti ha aumentato il livello di allerta e ha pubblicato un nuovo comunicato nel quale invita i propri concittadini a lasciare il paese. Tutti invitano all’estrema prudenza.
LE COMPAGNIE aeree hanno ridotto i voli da e per l’unico aeroporto libanese che, se bombardato, isolerebbe completamente il paese. L’unica alternativa di terra sarebbe attraverso la Siria, paese ancora instabile per la lunga guerra civile e sotto tiro israeliano. Non ci sono collegamenti via mare, se non commerciali, da ancor prima del 4 agosto 2020.
Il quarto anniversario della catastrofe annunciata – numerosi era stati gli appelli formali a rimuovere il nitrato d’ammonio dal porto – rischia di passare in secondo piano per lasciare il posto a un’altra possibile catastrofe imminente: la tanto temuta e scongiurata guerra totale in Medio Oriente
Commenta (0 Commenti)CARACAS. Come nel 2019 con Guaidó, un presidente eletto e uno proclamato all’estero. Agli Usa si accodano i governi di destra latinoamericani
La manifestazione di Maria Corina Machado ieri a Caracas Ap
A cinque anni e mezzo dall’autoproclamazione di Juan Guaidó come presidente ad interim del Venezuela, il paese si ritrova più o meno allo stesso punto: con un presidente proclamato dalle autorità elettorali, ritenute però non credibili dall’opposizione, e con un candidato considerato come il legittimo vincitore delle elezioni già da un certo numero di paesi.
A schierarsi con Edmundo González Urrutia, al momento, sono Argentina, Costa Rica, Ecuador, Panama, Perù e Uruguay, o ltre naturalmente agli Stati Uniti, i quali hanno così pregiudicato gli sforzi di Brasile, Colombia e Messico per trovare una soluzione concordata all’ennesima crisi venezuelana. Con l’aggravante, ha denunciato in conferenza stampa il presidente dell’Assemblea nazionale Jorge Rodríguez, di essersi basati «appena sul 31% dei verbali» pubblicati nel portale web dell’opposizione, e oltretutto, ha dichiarato, pieni di irregolarità (a cominciare dalla presenza, tra gli elettori, di persone già decedute).
UNA POSIZIONE peraltro bipartisan, quella degli Usa, come indica la risoluzione presentata al Congresso da un gruppo di parlamentari, tra cui il repubblicano Mario Díaz-Balart e la democratica Debbie Wasserman Schultz, che riconosce appunto la vittoria del candidato dell’opposizione.
C’è una terza via tra ultra-chavisti e post-golpisti
A DIFFERENZA però del gennaio 2019, quando Guaidó, allora presidente dell’Assemblea nazionale, si era dichiarato presidente pro-tempore nel corso di una manifestazione in piazza contro il governo, questa volta Maduro non ha ancora presentato – per la prima volta dall’avvento del chavismo nel 1999 – le prove della sua vittoria: se il Consiglio nazionale elettorale ha pubblicato venerdì un secondo bollettino elettorale, in base a cui, con quasi il 97% delle schede scrutinate, il presidente avrebbe ottenuto il 51,95% delle preferenze contro il 43,18% dell’avversario, non sono però ancora disponibili i verbali di seggio a cui chiedono di accedere con sempre maggiore insistenza quei governi progressisti che pure sarebbero ben lieti di schierarsi con Maduro.
COSÌ IL GOVERNO Lula, che aveva fatto dipendere il riconoscimento della sua vittoria proprio dalla pubblicazione della documentazione elettorale, comincia a trovarsi in una posizione un po’ scomoda. «La verità è che finora non abbiamo una visione chiara di quanto avvenuto, dal momento che gli atti elettorali non sono stati distribuiti come si sperava», ha dichiarato il consigliere speciale di Lula per gli affari esteri Celso Amorim, ritenendo tuttavia «difficile» che il Brasile possa riconoscere la vittoria di Edmundo González e condannando le «interferenze extraregionali».
«Ritengo che sia una questione latinoamericana e che debbano essere i latinoamericani a risolverla», ha evidenziando Amorim, definendo inoltre come un grosso «errore nordamericano» le sanzioni imposte al Venezuela: «il loro ritiro avrebbe facilitato lo svolgimento delle elezioni, così come avrebbe fatto la presenza dell’Unione europea, respinta da Maduro proprio a causa del mantenimento delle sanzioni».
Intanto, il Tribunale supremo di giustizia (Tsj) del Venezuela, attraverso la presidente Caryslia Rodríguez, ha chiesto al Cne di consegnare, entro i prossimi tre giorni, l’intera documentazione elettorale, compresi «tutti gli elementi di prova associati all’attacco hacker segnalato contro il sistema informatico del Cne». Ma è un’azione che difficilmente si rivelerà risolutiva, dal momento che il Tsj non è considerato imparziale dall’opposizione: non a caso, dei dieci candidati presidenziali, Edmundo González è stato l’unico a non rispondere alla convocazione del tribunale.
LA PAROLA, IERI, è passata però alle piazze, dove si sono fronteggiati i manifestanti pro e contro Maduro (nel momento in cui scriviamo le mobilitazioni sono ancora in corso). Alle proteste convocate dall’opposizione «in tutte le città», il Psuv, il Partito socialista unito del Venezuela, ha infatti risposto con una «grande marcia nazionale per la pace» a Caracas, iniziata da Avenida Libertador quattro ore più tardi. «Facciamo una grande mobilitazione e un grande concerto per la pace», era stato l’invito rivolto da Maduro a un gruppo di sostenitori dal cosiddetto «Balcone del Popolo» nel Palazzo di Miraflores a Caracas
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