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Controinvasione. L’ultimo tassello nella costruzione a cui il Cremlino lavora ormai da nove giorni lo ha sistemato ieri Nikolaij Patrushev, uno degli uomini più fidati di Putin, al punto da essere […]

 

L’ultimo tassello nella costruzione a cui il Cremlino lavora ormai da nove giorni lo ha sistemato ieri Nikolaij Patrushev, uno degli uomini più fidati di Putin, al punto da essere inserito tempo fa nell’elenco dei suoi possibili sostituti.

«Gli ucraini hanno pianificato l’operazione a Kursk con uomini della Nato e di servizi speciali dell’occidente», le parole dal consigliere presidenziale, uno che, dalla fine degli anni Novanta, ha attraversato ogni passaggio politico ai vertici del potere russo.
Elementi a sostegno della tesi ce ne sono, basti pensare all’ampio impiego di mezzi tedeschi, britannici, americani e canadesi nel corso di questa offensiva, oppure ai suggerimenti, ne ha parlato in settimana il New York Times, che gli Stati Uniti avrebbero avanzato ai loro interlocutori a Kiev: dimenticatevi del fronte, delle trincee, delle zone minate e fortificate; colpite i russi nel punto in cui sono più vulnerabili, ovvero sul loro stesso territorio.

Quel che è strano nelle parole di Patrushev, e più in generale nella risposta della Russia all’iniziativa ucraina, è la priorità che il Cremlino continua a concedere al lato retorico della questione rispetto al lato militare. Come se il controllo delle informazioni e della versione di stato da trasmettere ai cittadini fosse più importante di quello sui confini.Sul campo la risposta del ministero della Difesa e dei servizi segreti è parsa sin dal primo momento lenta, stanca, priva di convinzione. In dieci giorni gli ucraini sono riusciti a inchiodare l’esercito russo su un’area vicina ai mille chilometri quadrati facendo centinaia di prigionieri e occupando oltre ottanta insediamenti, come ha ribadito da Kiev il presidente, Volodymyr Zelensky. Nella cittadina di Sudzha hanno stabilito un posto di comando amministrativo-militare, proprio come i russi hanno fatto sinora nelle province dell’Ucraina. Nel vicino villaggio di Glushkovo ieri sono riusciti a distruggere un ponte, bloccando in una sacca circa settecento militari russi. Ma anziché risolvere l’emergenza, nella cerchia di Putin sembrano impegnati a mettere insieme una adeguata struttura teorica.

La lentezza militare sorprende anche gli alleati di Mosca. «Nel caso in cui qualcuno varcasse i nostri confini la risposta sarebbe immediata», ha assicurato il presidente bielorusso, Aleksander Lukashenko. Che ha poi aggiunto: «Noi di linee rosse non ne abbiamo». Un riferimento esplicito ai limiti sempre più misteriosi di cui Putin discute quando minaccia ritorsioni esistenziali ai nemici.

Ebbene, questa volta l’esercito ucraino ha rotto la sacralità dei confini russi fra le province di Sumy e Kursk, nel luogo in cui il mito vuole che i popoli slavi abbiano mosso i primi passi, fra le campagne che hanno segnato l’inizio della controffensiva sovietica in quella che in Russia è ricordata come Grande guerra patriottica. Come dire: la circostanza dovrebbe spingere il Cremlino a misure decise, eppure proprio adesso nessuno da quelle parti sembra avere intenzione di agire.

Una spiegazione bene informata di quel che avviene nella cerchia di Putin ha provato a fornirla la giornalista indipendente Yuliya Latynina. Secondo Latynina, Putin e il suo stato maggiore non hanno ceduto al comportamento più semplice. Ovvero spostare subito le truppe schierate nel Donbass, distribuirle fra Kursk e Belgorod, spegnere sul nascere il pericolo di una invasione a settecento chilometri da Mosca. Per ora si è deciso di stabilizzare il nuovo fronte con piccole unità, con squadre di specialisti, con un certo numero di coscritti, e di portare avanti nello stesso tempo la spinta nel Donbass.

L’obiettivo non sarebbe, quindi, almeno per adesso, impedire una presenza militare ucraina da questa parte del confine, ma semplicemente renderla inoffensiva. Perché il piano funzioni, però, è necessario che il flusso di armi e munizioni fra l’occidente e l’Ucraina rallenti, e che i governi della Nato non procedano con il via libera all’impiego degli aiuti militari più moderni sul territorio russo.

È proprio a questo punto che arrivano le parole di Patrushev. Una richiesta più che una denuncia, il cui esito può avere ripercussioni ben oltre il conflitto con l’Ucraina

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L’esercito ucraino consolida le posizioni nella regione russa di Kursk. La Bbc rivela: Kiev sta impiegando blindati britannici. Canada e Germania ammettono l’uso delle loro armi per l’attacco, l’Italia resta ambigua. Mosca punta il dito: operazione firmata Nato

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Kiev avanza, cade il veto sulle armi per l’attacco Un edificio colpito dagli attacchi ucraini ieri a Kursk - foto Getty Images

Due fronti che si approfondiscono e si prolungano in due direzioni opposte. Da una parte, le truppe di Kiev continuano a rinsaldare la propria presa nella regione russa di Kursk, controllando la cittadina di Sudzha (circa 15mila abitanti) e numerose altre località oltre confine. Dall’altra, l’esercito di Mosca sembra intensificare la propria avanzata nel Donbass, avvicinandosi a circa 10 chilometri dall’importante centro logistico di Pokrovsk (circa 60mila abitanti prima della guerra, oblast di Donetsk).

Ciascuno dei contendenti sta provando a sfruttare al massimo le vulnerabilità dell’altro. Con la sua incursione inaspettata, l’Ucraina ha messo in luce le difficoltà logistiche e organizzative delle retrovie nemiche, costringendo le forze del Cremlino a mobilitare coscritti e membri di servizi interni di Fsb e Rosvgardija e a richiamare in patria molti dei propri effettivi che erano impiegati nei territori occupati per respingere l’attacco (ufficiali Usa hanno parlato ieri alla Cnn di «diverse brigate da almeno mille uomini»). Alcuni report indipendenti indicano che i russi stanno scavano trincee alla periferia di Kursk, circa 45 chilometri dal confine. A Sudzha, intanto, gli ucraini hanno istituito un vero e proprio centro di comando militare «per mantenere l’ordine nell’area e andare incontro ai bisogni della popolazione che si trova nei territori ora sotto controllo».

PROPRIO IERI la Bbc citando fonti militari britanniche ha rivelato che nell’offensiva di Kiev sono stati usati carri armati «Challenger» – Londra ne aveva trasferiti 14 all’Ucraina – malgrado ufficialmente non sia stata data l’autorizzazione a impiegarli in territorio russo. La notizia segue quanto riferito il 14 agosto dal ministero della difesa tedesco: una volta consegnate le armi agli ucraini, questa la posizione ufficiale, la Germania considera le forze armate di Kiev libere di stabilirne l’impiego. Le ultime armi consegnate da Berlino sono i carri armati Leopard 1 e 2, veicoli di fanteria «Marder» e lanciamissili.

SI SA CHE ANCHE l’Italia ha fornito a Kiev armi potenzialmente d’attacco come i missili Samp-T e Storm Shadow, pure mantenendo il segreto sulle forniture, ma confuse dichiarazioni di ministri e maggioranza hanno ripetuto che non andrebbero usate per un’offensiva. Il ministero della difesa del Canada ha invece apertamente dichiarati che le armi spedite a Kiev possono essere utilizzate «liberamente e senza restrizioni geografiche». Intanto proprio in queste ore si aspetta un nuovo pacchetto di aiuti militari dagli Usa.

I numerosi reportage sul campo che si inseguono negli ultimi giorni da parte di testate indipendenti russe e internazionali mostrano una vasta gamma di reazioni da parte della popolazione, dallo smarrimento alla rabbia sia verso l’inefficienza del proprio governo che contro le forze armate ucraine.

HA FATTO scalpore l’esclusiva realizzata dai giornalisti Rai Stefania Battistini e Simone Traini, che hanno documentato l’altro ieri la situazione a Sudzha e dintorni al seguito delle truppe di Kiev: i media russi hanno prima riferito dell’intenzione da parte di Mosca di aprire un procedimento giudiziario nei loro confronti, mentre sul web sono apparse minacce da parte di blogger militari; poi, nella serata di ieri, il ministero russo degli affari esteri ha convocato la nostra ambasciatrice Cecilia Piccioni per protestare per il servizio televisivo.

Intanto, anche dal lato opposto del confine la situazione è problematica. Sono migliaia i civili ucraini evacuati dal fronte del Donbass. La stampa, citando diverse fonti interne all’esercito, sostiene che in quel punto la pressione russa non è diminuita ma anzi potrebbe essere quasi accresciuta.

D’altro canto, ci sono notizie di attacchi da parte ucraina al ponte di Kerch, che collega la penisola di Crimea alla Federazione. La struttura è stata chiusa per qualche ora. Insomma, è un insistito “braccio di ferro” i cui esiti rimangono per ora incerti. Putin si è riunito ieri con i membri del consiglio permanente di sicurezza del paese, per discutere delle «nuove soluzioni tattiche» applicate nel corso dell’«operazione militare speciale». Domani, si recherà in visita di stato in Azerbaijan

 

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 Dopo oltre dieci mesi di assedio israeliano e 40mila uccisi palestinesi, si aprono a Doha colloqui difficili per il cessate il fuoco. Hamas non manda una delegazione. Netanyahu pone nuove condizioni. Eppure solo un accordo di tregua può fermare l’allargamento della guerra

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 Gaza. Il campo profughi di Al Maghazi - Ansa

Solo il raggiungimento di un accordo di cessate il fuoco a Gaza, frutto dei colloqui previsti oggi a Doha, impedirebbe all’Iran di intraprendere la minacciata, da giorni, rappresaglia contro Israele per l’assassinio del leader di Hamas, Ismail Haniyeh, sul suo territorio. Lo hanno detto alla agenzia Reuters tre alti funzionari iraniani. Se i colloqui fallissero o Israele facesse in modo da ostacolarli e prolungarli, Teheran lancerebbe il suo attacco, hanno aggiunto i funzionari. Non è chiaro se questa sia anche la posizione di Hezbollah. Ma è probabile. La chiusura di un accordo di cessate il fuoco permetterebbe ai due alleati di congelare, in nome degli interessi dei palestinesi di Gaza, la risposta per le due uccisioni compiute da Israele senza apparire deboli di fronte alle provocazioni del governo di Benyamin Netanyahu.

Gli americani ieri erano sempre impegnati ad evitare l’escalation che temono per i loro interessi in Medio oriente. Il consigliere del presidente Brett McGurk è arrivato martedì al Cairo per discutere con funzionari egiziani della sicurezza al confine tra Egitto e Gaza. E ieri era attesto a Doha. Joe Biden ha inviato nella regione anche il mediatore Amos Hochstein che ieri ha tenuto colloqui a Beirut per cercare di placare la rabbia del movimento sciita per l’assassinio, compiuto sempre da Israele, del suo comandante militare, Fuad Shukr. «Continuiamo a credere che una soluzione diplomatica sia raggiungibile perché crediamo che nessuno voglia veramente una guerra su vasta scala tra Libano e Israele», ha detto Hochstein dopo l’incontro con Nabih Berri, speaker del parlamento libanese e leader del partito Amal alleato di Hezbollah. In Qatar oggi arriveranno anche il direttore della Cia, Bill Burns, e la delegazione israeliana guidata dai capi del Mossad David Barnea e dello Shin Bet (sicurezza interna) Ronen Bar. Sono inoltre girate voci che l’Iran potrebbe inviare a Doha un suo rappresentante per seguire le trattative anche se in modo indiretto.

In Qatar non ci sarà la delegazione di Hamas. Il movimento islamico palestinese insiste per il ritiro di Israele da Gaza e la fine dell’offensiva che ha devastato la Striscia, prima della sua partecipazione. Più di ogni altra cosa chiede che la trattativa sia fondata sulla proposta di accordo di tregua annunciata da Joe Biden, approvata anche dall’Onu. «Hamas è impegnato a rispettare la proposta presentata il 2 luglio, che si basa sulla risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e sul discorso di Biden…Intraprendere nuovi negoziati consente all’occupazione israeliana di imporre nuove condizioni e di utilizzare il labirinto dei negoziati per compiere nuovi massacri», ha detto il portavoce Sami Abu Zuhri.

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La stampa palestinese e una parte di quella israeliana, spiegavano ieri che a preoccupare i mediatori americani, qatarioti ed egiziani non è tanto l’apparente rigidità di Hamas che, si

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Russia. Settimo giorno di incursione, usate anche armi occidentali? Senatori Usa vedono Zelensky e chiedono a Biden: basta divieti

 I residenti di un condominio danneggiato dai bombardamenti ucraini a Kursk - foto Ap

Assieme ai mezzi militari e ai soldati, l’operazione ucraina a Kursk ha messo in moto anche rappresentanti politici, opinioni pubbliche, annunci e speculazioni. Ieri John Kirby è stato molto diretto, e provocatorio: «Se la cosa non piace a Vladimir Putin, se la cosa lo mette un po’ a disagio, allora c’è una soluzione semplice: può semplicemente andarsene dall’Ucraina e farla finita», ha detto il portavoce per la sicurezza nazionale statunitense durante una conferenza stampa. Washington, insomma, non sembra avere grossi dubbi sulla strategia delle forze armate di Kiev di sconfinare in territorio russo – azione in corso ormai da una settimana.

John Kirby, portavoce sicurezza nazionale Usa

Se questa cosa non piace a Vladimir Putin, allora c’è una soluzione semplice: può semplicemente andarsene dall’Ucraina e farla finita
A DARE FORZA a questa posizione c’è stata anche la visita bipartisan dei senatori Richard Blumenthal (democratico) e Lindsey Graham (repubblicano), che hanno incontrato nella capitale ucraina il presidente Zelensky. «La breccia aperta a Kursk è qualcosa di storico», ha commentato il primo. «Coraggiosa, brillante, meravigliosa!», è invece il crescendo con cui il secondo si è espresso sull’operazione. Entrambi, inoltre, hanno fatto appello a Biden affinché venga tolto il divieto di colpire obiettivi in territorio russo con missili statunitensi.

PURE LE AUTORITÀ ucraine provano a insistere su questo punto. Dopo il grande riserbo mantenuto durante i primi giorni dell’incursione, dalla parte di Kiev si inizia a parlare e ci si spinge oltre i proclami. Il portavoce del ministero degli esteri Tykhy ha rassicurato sul fatto che l’Ucraina non ha alcuna intenzione di annettere i territori che sono per ora sotto il suo controllo, aggiungendo che si era reso necessario liberare le zone di confine con le proprie forze armate «dal momento che non era possibile colpire con le armi a lungo raggio disponibili». Il segretario del comitato parlamentare della sicurezza e della difesa Kostenko, in un’intervista all’Ukrainska Pravda, ha parlato di «operazione militare asimmetrica», paventando la possibilità che possano essercene altre in futuro in diverse zone. È chiaro che con questo successo Kiev stia cercando di rinvigorire il morale sia dei propri uomini che quello dei propri alleati, per strappare magari ulteriori aiuti e concessioni per colpire in maniera ancora più decisa dentro la Federazione: uno scenario che, tuttavia, non pare sia vicino a verificarsi.

Nel frattempo sarà necessario osservare e valutare quali evoluzioni si daranno sul campo. Al momento, le forze ucraine sembrano mantenere le posizioni conquistate in territorio nemico. Il governatore dell’oblast di Kursk Aleksei Smirnov, nel fare rapporto sulla situazione al presidente russo, ha riferito che le truppe di Kiev sono avanzate di 12 chilometri nella regione e controllano 28 località in un’area di ampiezza di 40 chilometri (Zelensky ha parlato su X di 74 comunità). Ieri, il ministero della difesa ha affermato che «la neutralizzazione delle unità ucraina è in corso», e arrivano report di scontri e battaglie così come di consistenti rese da parte di soldati russi (dovrebbero essere almeno un centinaio già in mano ucraina).

LA GRANDE DOMANDA è relativa all’entità delle forze di cui Mosca avrà bisogno per respingere l’incursione e, soprattutto, se sarà costretta ad attingere uomini e mezzi da altre zone del fronte. Il portavoce dell’esercito di Kiev Dmytro Likhoviy, citato da Politico, ha sostenuto che alcune unità sono state fatte rientrare dalle zone di Zaporizhzhia e Kherson ma, per ora, la dinamica non sembra tale da poter modificare in maniera sostanziale il resto della linea del fronte. Anzi, sebbene in maniera lenta e con notevole dispendio di mezzi e uomini, la Russia sta continuando a rosicchiare territorio ucraino nelle regioni orientali del Donbass.

INTANTO LA CRISI umanitaria si approfondisce. L’afflusso di sfollati dalle aree di Kursk ma anche di Belgorod, oblast appena più a sud, continua e sta apparentemente interessando qualcosa come 130mila persone. Ieri, le autorità di Bolshesoldatsky, distretto nella regione di Kursk che non confina con l’Ucraina, hanno annunciato di essere in procinto di organizzare un’evacuazione anche da quel punto. Si tratta dunque di un’emergenza su più livelli: Putin e i suoi da una parte tuonano contro il nemico che «verrà punito», dall’altra rassicurano la popolazione di avere tutto sotto controllo. Ma, da qui in poi, conteranno i risultati concreti.

 

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L’Ucraina: ora controlliamo mille chilometri di Russia Famiglie evacuate dalla zona di guerra in fila per ricevere aiuti umanitari nel Kursk foto Ap

Mentre le operazioni militari sul fronte di Kursk proseguono avvolte nella “nebbia di guerra”, una buona parte dello scontro si accende sul piano della retorica e della propaganda. Se Kiev continua a mantenere uno strategico riserbo sui propri piani, a parte l’annuncio del capo delle forze armate ucraine Oleksandr Syrsky di «avere sotto controllo mille chilometri quadrati di territorio russo», ieri il presidente della Federazione Vladimir Putin si è riunito con ufficiali della sicurezza e governatori regionali mentre la crisi nelle zone di confine sembra sempre più ingrossarsi. Secondo Aleksei Smirnov (governatore dell’oblast di Kursk), la cifra degli sfollati è salita a oltre 121mila persone, con 12 vittime fra i civili, 121 feriti e 2mila dispersi. Inoltre, circolano informazioni relative a un alto numero di soldati russi che si arrendono e vengono catturati dalle forze ucraine: alcune stime arrivano a contarne centinaia, e il canale del progetto per il trattamento dei prigionieri di guerra dell’esercito di Kiev ha diffuso un video in cui si vedono diversi membri del battaglione dell’ex-presidente ceceno Achmat Kadyrov nelle mani delle truppe avversarie.

«LE AZIONI del nemico riceveranno una risposta adeguata», è per ora il commento di Putin. Il leader del Cremlino ha provato a ribaltare l’impressione di vulnerabilità delle proprie linee difensive, dicendo che l’incursione nasce da una condizione di debolezza dell’Ucraina. «Il loro intento è quello di fermare la nostra avanzata nel Donbass e di rafforzare la propria posizione in vista di futuri negoziati di pace – ha affermato – ma è difficile sostenere colloqui con chi prende di mira la popolazione, le infrastrutture civili o cerca di minacciare la sicurezza delle centrali nucleari». Non sono mancate allusioni al coinvolgimento dell’occidente nel preparare l’operazione, con l’intento di destabilizzare la situazione interna russa. A questo proposito, le parole di Putin non sembrano presagire grossi sommovimenti ai vertici (ipotesi su cui si sta speculando da giorni, visto il chiaro fallimento delle forze armate della federazione nel prevenire la breccia ucraina e viste le accuse mosse da diversi blogger militari russi al capo di stato maggiore Gerasimov): il presidente ha esortato il ministero della difesa a respingere il prima possibile le truppe nemiche oltre i confini e ha affidato ai servizi di sicurezza dell’Fsb e alla Guardia nazionale compiti di antiterrorismo e controspionaggio.

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INSOMMA, massima coordinazione per contrastare un’emergenza ormai sotto gli occhi di tutti. Al momento, questo pare sicuramente essere un primo obiettivo centrato da Kiev: mettere sotto pressione Mosca, distogliere attenzione ed energie da altri punti del fronte e risollevare il morale delle proprie truppe. In particolare, l’elemento che sta forse più di tutti dando del filo da torcere al Cremlino è l’alone di imprevedibilità che sta mantenendo l’operazione: può essere che le forze ucraine provino ad approfondire la loro avanzata nella regione di Kursk, magari provando a occupare qualche posizione strategica di rilevo; può essere che si verifichino nuove incursioni più a sud, nell’oblast di Belgorod, da cui infatti si sta procedendo con evacuazioni civili oppure con manovre ancora più a sorpresa da altre parti che rischiano di ritrovarsi più sguarnite di uomini e mezzi dell’esercito russo. Verso sera Zelensky ha provato ad aggiungere carne al fuoco delle dichiarazioni: «24 anni fa si verificava il disastro di Kursk, che segnava simbolicamente l’inizio del dominio di Putin», ha detto il presidente ucraino facendo riferimento all’anniversario dell’incidente di un sottomarino militare russo nel Mare di Barents in cui persero la vita 118 persone e la cui gestione da parte del Cremlino sollevò numerose critiche (“Kursk” era appunto il nome dato al sommergibile, in onore di una delle battaglie più famose della seconda guerra mondiale). «Ora ecco che siamo di fronte alla fine di questo dominio, e ancora una volta questo ha a che fare con Kursk. La Russia ha voluto muovere guerra agli altri, e ora la guerra le sta arrivando dentro casa».

IL LEADER UCRAINO sceglie parole altisonanti e, soprattutto, menziona la pace come l’unico obiettivo che sta perseguendo Kiev. Sebbene l’operazione in territorio russo sia una mossa che sta dando i suoi frutti e che ha rimesso in oscillazione l’equilibrio del conflitto, è improbabile che possa rivelarsi decisiva: le forze a disposizione dell’Ucraina rimangono troppo esegue affinché l’attuale incursione si possa trasformare in una ampia controffensiva. A lato, con questa piccola svolta negli sviluppi bellici, il tema di cosa debba intendersi per “pace” ha riacceso alcune frizioni fra gli alleati del paese aggredito: se in Usa e in Europa c’è un sostanziale via libera per lo sconfinamento a Kursk, ieri Svizzera e Italia hanno siglato una dichiarazione congiunta in cui si impegnano a includere la Russia nei prossimi colloqui di pace. E il ministro degli esteri Tajani ha avvertito: «Le nostre armi non possono essere usate in Russia»

 
 
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«La Repubblica riconosce qui le sue radici», dice Mattarella nell’80esimo della strage nazifascista di Sant’Anna di Stazzema. Ma il governo è assente, ignora l’invito e piccona la memoria anche nel solenne anniversario

Memoria e resistenza. Ottantesimo anniversario dell’eccidio nazifascista di Sant’Anna di Stazzema, il sindaco Verona: «Chi ha ruoli importanti doveva venire»

«Meloni invitata, ma da lei nessuna risposta» Ansa

È un anniversario tondo e quindi importante, l’80esimo dell’eccidio nazifascista di Sant’Anna di Stazzema, dove il 12 agosto 1944 furono trucidati dalle SS 560 civili, quasi tutti donne, anziani e anche molti bambini. Ma alle celebrazioni, che si sono svolte per l’intera mattinata di ieri tra le case del borgo sulle alture alle spalle di Pietrasanta, in provincia di Lucca, la chiesa e più in alto l’ossario dove sono state sepolte le vittime, il grande assente era il governo. Non c’era la presidente del Consiglio Meloni, né il resto del governo o sottogoverno. Non c’erano gli esponenti di centrodestra, se non rappresentanti locali come il consigliere regionale FdI, Vittorio Fantozzi, e il sindaco di Lucca Mauro Pardini, che guida una coalizione di centro-destra e quello di Pisa, il leghista Michele Conti.

C’ERANO INVECE, il presidente delle regione Toscana, il Pd Eugenio Giani e il sindaco di Sant’Anna Maurizio Verona, insieme a molti sindaci della regione (circa 200 sui 270 totali), di diverso colore politico tra cui anche quelli del centrodestra. Un motivo che ha permesso al sindaco Verona di non sentirsi solo, dato che al suo fianco c’erano comunque tante fasce tricolori. Ed è stato proprio il primo cittadino a non risparmiare critiche agli assenti, colpevoli di non aver mandato «un bel messaggio» rispetto a chi si impegna per trasferire la memoria alle giovani generazioni. Una memoria, ha ricordato Verona, trasferita dai superstiti – sempre di meno quello rimasti oggi – «con dolore», a costo di riaprire la ferita della loro vita « pur di trasmettere ai giovani un messaggio, ovvero che il fascismo e il nazismo sono stati il male assoluto e che durante le guerre le vittime civili sono all’ordine del giorno». Non a casso, Verona fa sapere di aver condiviso in pieno il messaggio «pieno di significato» del presidente Mattarella «baluardo delle istituzioni del nostro paese».

NELL’OCCASIONE delle celebrazioni, alla presidente del Consiglio è stato rivolto un invito formale da parte del comune toscano teatro dell’eccidio. Lo conferma al

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