Accedi Registrati

Login to your account

Username *
Password *
Remember Me

Create an account

Fields marked with an asterisk (*) are required.
Name *
Username *
Password *
Verify password *
Email *
Verify email *

La chiave di Gaza. «Positivo» l’incontro tra Blinken e Netanyahu che però insiste per tenere i soldati israeliani al confine tra la Striscia e l’Egitto
I funerali del reporter Ibrahim Muharib, ucciso in un raid israeliano a Khan Yunis foto Abdullah Abu Al-Khair/Ap I funerali del reporter Ibrahim Muharib, ucciso in un raid israeliano a Khan Yunis - foto Abdullah Abu Al-Khair/Ap

Almeno 289 operatori umanitari uccisi da Israele a Gaza dal 7 ottobre, tra cui 207 dipendenti dell’Unrwa. A questi si aggiungono 885 operatori sanitari, 21 medici e infermieri della Mezzaluna rossa, 82 membri della Protezione civile e non devono essere dimenticati i 169 giornalisti e cameraman morti, l’ultimo poche ore fa, Ibrahim Muharrab, 26 anni, colpito da una cannonata di carro armato a Khan Yunis. «Uccisi durante lo svolgimento del loro dovere, mentre fornivano assistenza umanitaria o cure mediche ai feriti e ai malati», ha scritto ieri su X il Commissario dell’Unrwa, Philippe Lazzarini. Non crediamo che questi numeri drammatici, che sono solo una frazione degli oltre 40mila palestinesi uccisi dal 7 ottobre, siano stati tra i temi dei colloqui per la tregua a Gaza avuti ieri a Gerusalemme dal Segretario di stato Antony Blinken con Benyamin Netanyahu. Piuttosto i due hanno discusso della sicurezza di Israele, della presenza israeliana sul Corridoio Filadelfia tra Gaza e l’Egitto e al Corridoio Netzarim che taglia la Striscia a metà da est a ovest, e degli altri paletti alzati dal primo ministro israeliano per andare al cessate il fuoco con Hamas.

Israele accetta l’ultima proposta annunciata dagli Usa, ha fatto sapere Netanyahu. Ma il premier israeliano non vuole rinunciare alle sue condizioni anche se rischiano di far saltare l’esito favorevole dei negoziati ripresi la scorsa settimana a Doha e che proseguiranno al Cairo. Hamas ripete che non accetterà cambiamenti alla proposta in tre fasi formulata da Joe Biden nei mesi scorsi. Un funzionario israeliano coinvolto nei negoziati ha detto al sito Ynet che «sono ore molto critiche. La questione del Corridoio Filadelfia è ancora aperta…egiziani e Hamas insistono per un ritiro totale delle forze israeliane. Netanyahu non è disposto ad arrendersi». Secondo il quotidiano libanese Al Akhbar, Israele aveva accettato di ridurre progressivamente i soldati che da inizio maggio, quando ha lanciato l’attacco alla città di Rafah, occupando il confine tra Gaza e l’Egitto. In cambio il Cairo avrebbe deciso di non stabilire tempi precisi per il loro ritiro completo che, comunque, dovrà avvenire. Non è quello che ha in mente Netanyahu. «Il primo ministro sostiene fermamente il principio secondo cui le IDF rimarranno fisicamente sul Corridoio Filadelfia per impedire il rifornimento di armi mortali ad Hamas», ha detto il portavoce del governo, David Mercer.

Blinken ha sottolineato al presidente israeliano Herzog, a Netanyahu e al ministro della Difesa Yoav Gallant, in incontri separati, quanto fosse importante accettare l’accordo. E ha avvertito che questa potrebbe essere l’ultima possibilità per riportare a casa gli ostaggi. Parole che difficilmente produrranno risultati. La guerra, non solo a Gaza, anche in Libano, resta l’opzione preferita dal premier e il suo governo. Gallant ha ordinato alle Forze armate di richiamare i riservisti che erano stati esclusi dalle precedenti chiamate. Dopo l’entusiasmo (eccessivo), mostrato da Usa, Qatar e Egitto sui «buoni risultati» ottenuti dai colloqui a Doha, ora i mediatori tornano con i piedi per terra. I nodi veri sono ancora da sciogliere. Hamas gli ostaggi li libererà solo se ci sarà una tregua definitiva a Gaza e la contemporanea scarcerazione di prigionieri palestinesi di primo piano. Netanyahu, lo pensano tanti israeliani e le famiglie degli ostaggi, invece vuole la liberazione dei sequestrati a Gaza, ma intende continuare l’offensiva militare. Perciò pone condizioni su condizioni che allontanano la tregua perché inaccettabili per Hamas, come l’aumento del numero dei prigionieri palestinesi (pare 150) che Israele deporterà verso altri paesi una volta che saranno scarcerati in cambio degli ostaggi.

Non si conosce la «proposta ponte» annunciata dagli Stati uniti per colmare le differenze tra Israele e il movimento islamico palestinese. Ma non mancano le indiscrezioni. Secondo la televisione Al-Arabi, prevede che il cessate il fuoco permanente – che vuole Hamas – sarà negoziato nella seconda fase dei colloqui. Include inoltre negoziati per una «soluzione tecnica» per il Corridoio Filadelfia e per il monitoraggio degli sfollati palestinesi che vogliono tornare nel nord della Striscia. La ricostruzione di Gaza è prevista nella seconda fase, ma non include il ritiro israeliano dalla Striscia.

Hamas ribadendo «non si piegherà per soddisfare la parte israeliana», ieri ha rivendicato, assieme al Jihad, l’attentato fallito di domenica a Tel Aviv. L’attentatore è stato ucciso dall’esplosione prematura di un ordigno che portava nello zaino. Hamas ha avvertito che seguiranno altri attacchi in risposta ai massacri di palestinesi a Gaza e in Cisgiordania. Ha anche rivendicato l’uccisione di una guardia di sicurezza israeliana. A Gaza almeno nove persone sono state uccise in un attacco aereo contro il campo profughi di Shati. Altre quattro sono state uccise nel bombardamento di un’auto civile nel quartiere di Az-Zarqa. Un soldato israeliano è stato ucciso e numerosi altri feriti da un missile malfunzionante sganciato da un aereo e diretto a Khan Yunis. I caccia israeliani hanno anche bombardato diversi edifici a Ayta ash-Shab, Beit Lif e Houla, nel Libano meridionale. Hezbollah ha risposto prendendo di mira l’Alta Galilea con razzi