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Reportage. Odessa, così sempre più maschi in età di leva combattono l’arruolamento

 

In due mi fanno strada attraverso i cortili del quartiere Kyivisky, prima periferia di Odessa, e quindi primi palazzi di dodici piani fra la pianura soleggiata dell’Ucraina e le coste del Mar Nero. Su una panchina sotto a un tiglio davanti alla sua casa è seduto un tale di nome Roman, trent’anni compiuti da poco, capelli corti, calzoni corti, una lattina da mezzo litro di bibita energetica che passa da una mano all’altra. Il giorno prima lo ha fermato una pattuglia del Tzk, l’organismo del ministero della difesa a cui spetta il compito di reclutare gli uomini per l’esercito.

A GIUDICARE dallo sguardo si direbbe che questo Roman abbia visto i fantasmi. Mentre fuma racconta: «Ho mostrato loro i documenti, li hanno controllati, hanno detto che c’era una irregolarità e che avrei dovuto seguirli in caserma per risolverla. Sarà questione di mezz’ora, così hanno detto. La mia grande fortuna è stata capire subito che cosa stava accadendo. Ho chiamato la mia compagna, lei ha sentito l’avvocato e in pochi minuti mi hanno fatto sapere tutto quel che avrei dovuto dire per evitare di essere arruolato. Dico che è stata la mia fortuna perché, una volta in caserma, mi hanno portato via i documenti e il telefono, mi hanno fatto visitare da un medico e da uno psicologo, e poi hanno cominciato con le pressioni: perché non hai ancora risposto alla mobilitazione? Tu non vuoi difendere il tuo paese? Non sei forse un uomo, tu? Ho tenuto duro, ho citato gli articoli di legge che l’avvocato aveva suggerito, ho gridato in ogni modo che non mi avrebbero mandato al fronte a morire. Stamattina mi hanno messo in mano una multa e mi hanno detto di andare via, ma la notte l’ho passata con settanta uomini, tutti nella mia stessa condizione, e non so quanti di loro oggi siano liberi».

A DUE ANNI E MEZZO dall’inizio della guerra, la fuga dalla mobilitazione rappresenta sul piano militare un problema significativo per l’esercito ucraino, e diventa su quello politico una questione sempre più seria per il presidente Volodymyr Zelensky, come dimostrano le proteste anche violente contro il Tzk in diverse parti del paese. È il primo, concreto segnale di tensione nei rapporti fra il governo e i cittadini al tempo della legge marziale.

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A Odessa, con un milione di abitanti terza città dell’Ucraina dopo Kiev e Kharkiv, decine di migliaia di persone decidono ogni giorno che cosa fare dopo avere consultato un canale Telegram il cui nome può essere tradotto con l’espressione “Andrà tutto bene”: messaggi a ciclo continuo che gli stessi utenti contribuiscono ad aggiornare permettono di conoscere l’esatta posizione dei posti di blocco del Tzk, le targhe delle auto di pattuglia, il numero di agenti nei centri commerciali, nelle piazze, nelle spiagge, nei locali pubblici. Quanti siano esattamente quelli che rifiutano di entrare nell’esercito è difficile da stabilire, anche perché sulla questione le autorità mantengono il riserbo più stretto, ma quel il canale Telegram è nato soltanto lo scorso dicembre e ha già 140mila iscritti. Lungo le strade di Odessa si svolge, insomma, un enorme guardie e ladri quotidiano.

SULL’OPERATO DEL TZK le critiche sono numerose e documentate da un’ampia serie di scandali. Proprio un anno fa Zelensky ha licenziato ogni singolo responsabile regionale della rete di arruolamento: anziché fornire reclute all’esercito, questa l’accusa, usavano i loro enormi poteri per raccogliere mazzette. Da allora i vertici sono cambiati, ma lo stato delle cose sembra più o meno il medesimo. La legge marziale impedisce agli uomini di lasciare il paese. Zelensky ad aprile ha abbassato l’età della mobilitazione da 27 a 25 anni per placare lo stato maggiore, che chiedeva mezzo milione di nuove reclute.

Chi aveva i mezzi per partire, e si tratta in sostanza di mezzi economici, già si trova all’estero. Agli altri sono rimaste tre alternative. Combattere, nascondersi, oppure pagare. Chiunque a Odessa ne parla apertamente, come se fosse la cosa più normale del mondo. Settemila dollari per corrompere qualche funzionario ed evitare la chiamata, è così che si dice in città, fra i quindici e i ventimila per fuggire illegalmente in Polonia, in Ungheria, in Slovacchia, in Moldavia o in Romania. Proprio questa settimana, nel villaggio di Stanislavke, fra la regione di Odessa e la repubblica non riconosciuta della Transnistria, la polizia ha fermato un camion a una manciata di chilometri dalla frontiera. Nel rimorchio erano nascosti quarantotto uomini. Secondo le quotazioni di cui si discute, quel carico umano, uno soltanto, doveva valere quasi un milione di dollari, il che aiuta a comprendere le dimensioni complessive dell’affare.

«IL PROBLEMA non è il patriottismo», mi dice Artur, trentaquattro anni, che ha lasciato qualche mese fa il lavoro in un fast food proprio per sfuggire alla mobilitazione e ora vive con duecento euro al mese vendendo pezzo dopo pezzo qual che si ritrova a casa, nel quartiere periferico Peresypsyi: «Il giorno stesso che i russi ci hanno invaso sono entrato in una caserma e ho lasciato tutti i miei dati. Il nome, l’indirizzo, il numero di telefono e quello del passaporto. Volevo partire subito. Per qualche ragione non mi hanno mai chiamato. Se lo avessero fatto, adesso sarei morto. Oggi è diverso, oggi non voglio combattere perché l’esito della guerra è chiaro a tutti e non si capisce che senso abbia continuare a mandare gente al fronte per morire».

L’opinione è personale, ma si sente spesso a Odessa. I sondaggi nazionali vanno, in un certo senso, nella stessa direzione. A maggio l’Istituto internazionale di sociologia di Kiev ha registrato un netto aumento di cittadini favorevoli alla pace, anche a costo di perdere le quattro regioni di Lughansk, Donetsk, Zaporizhzha e Kherson che la Russia vuole annettere: nel 2023 erano il 10 per cento della popolazione, oggi sono il 32. Secondo l’Istituto nazionale democratico, il 57 per cento vorrebbe già da ora negoziati diretti con il Cremlino.

I soprusi sui civili e i casi di corruzione hanno trasformato il Tzk nel corpo più oscuro dello stato. Gli agenti del servizio sono chiamati abitualmente “ladri di uomini”. Questa settimana nella cittadina di Kovel, a est, decine di persone hanno preso d’assalto un centro di reclutamento per liberare due ragazzi di diciotto anni. A Kiev la polizia ha fermato martedì un giovane sceso in strada a protestare con due cartelli che dicevano: “Il Tzk continua a rapire persone”; “La guerra non è un buon motivo per costruire una dittatura”.

ZELENSKY si è per ora guardato dall’associare questi eventi, locali e isolati, ma sempre più numerosi, alle infiltrazioni russe che pure nel paese esistono, e che continueranno a esistere. Conosce l’umore del suo popolo, sa che un limite esiste, ha detto più volte che la guerra dovrà arrivare presto a una fine. Eppure la macchina del reclutamento funziona a pieno regime. Ovunque a Odessa lo spazio delle insegne pubblicitarie è occupato dall’esercito. Nel centro della città, su un tratto della strada Rishelevska lungo trenta metri fra vetrine e tavoli dei ristoranti, ci sono quattro cartelloni uno di fila all’altro. Battaglione Azov, Lupi di Da Vinci, Marina militare, Terza brigata separata d’assalto. Ricordano i manifesti delle campagne elettorali. Qui, però, non è di voti che si tratta. Ancora si cercano volontari per il fronte