GUERRA A OLTRANZA. Il presidente Usa sbandiera i progressi nel negoziato, negoziatore israeliano lo smentisce: «Netanyahu ostacola l'accordo con continue nuove richieste». Ieri altri quattro operatori umanitari uccisi mentre distribuivano aiuti nella Striscia
Il ritorno di alcuni sfollati in una Gaza City semi-distrutta da due settimane di offensiva israeliana - Ap
L’annuncio lo ha dato ieri Joe Biden, quindi il beneficio d’inventario è d’obbligo. Fatto sta che ci sarebbe l’ok di entrambe le parti sull’accordo in tre fasi formulato dalla Casa bianca per arrivare a una tregua e alla liberazione degli ostaggi. «C’è ancora da lavorarci – ha aggiunto il presidente Usa – perché ci sono questioni complesse da affrontare, ma sia Israele che Hamas hanno concordato sull’impianto generale dell’intesa».
RESTA DA CAPIRE quale potrebbe essere il punto d’incontro tra il cessate il fuoco permanente a cui punta Hamas e le reiterate dichiarazioni del primo ministro israeliano Netanyahu, secondo cui «la guerra andrà avanti fino a quando saranno raggiunti tutti gli obiettivi». In primo luogo, quindi, l’annientamento del movimento islamico. Ma Biden è fiducioso: «La mia squadra sta facendo progressi e sono determinato a portare a casa il risultato», ha detto. Un auspicio da leggere forse nella dinamica di una campagna elettorale in salita, in cui il presidente Usa deve dimostrare al Paese di avere il controllo della situazione e di saper fare fino in fondo il suo lavoro.
A gelare l’ottimismo di Biden ci ha pensato però poco dopo un alto funzionario israeliano coinvolto nel negoziato. Al Times of Israel ha raccontato in forma anonima come Netanyahu stia ostacolando l’accordo con continue nuove richieste destinate a bloccare i colloqui «per settimane». Secondo la fonte «poi potrebbe non esserci nessuno da riportare a casa». Hamas da parte sua pretende garanzie scritte sul rispetto della tregua da parte di Tel Aviv. E propone per il dopoguerra un governo «non di parte» per la Striscia, definendo il problema «una questione interna palestinese».
LA SOLA COSA CERTA è che non c’è stata alcuna tregua, ieri nella Striscia. Ancora quattro operatori umanitari sono stati uccisi in un raid israeliano nei pressi di Khan Younis. Distribuivano aiuti alla popolazione civile per conto della fondazione britannica Al-Khair quando il magazzino in cui operavano è stato colpito. A inizio settimana stessa sorte era toccata a ben sette operatori della ong statunitense World Central Kitchen.
Ieri una riunione del Consiglio di sicurezza Onu richiesta dalla solita Algeria verteva sul rischio carestia sempre più concreto a Gaza e proprio sull’escalation di attacchi perlopiù deliberati contro gli “umanitari”, messi a bersaglio tanto quanto i giornalisti e il personale sanitario, oltre ovviamente ai civili, in maggioranza donne e bambini. 38.345 è il conto delle vittime aggiornato ieri dalle autorità sanitarie della Striscia. Un bilancio a cui vanno aggiunte le decine di vittime palestinesi rinvenute nell’area di Tal al-Hawa, a Gaza City, dopo il ritiro delle truppe israeliane. Si parla di almeno 60 cadaveri e di altre dozzine di corpi ancora sepolti sotto le macerie. Altre 8 persone sono state uccise a Rafah e 4 nel campo profughi di Nuseirat.