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LEGGE CALDEROLI. Il referendum sull’autonomia differenziata comincia a far paura alla Lega e più in generale al centrodestra, ancor prima che inizi l’effettiva raccolta delle firme. A tuonare contro la chiamata dell’elettorato […]

Bandiere tricolori sui banchi delle opposizioni contro l'autonomia

 

Il referendum sull’autonomia differenziata comincia a far paura alla Lega e più in generale al centrodestra, ancor prima che inizi l’effettiva raccolta delle firme. A tuonare contro la chiamata dell’elettorato ad esprimersi sul ddl Calderoli, sono stati i tre governatori del Carroccio, Luca Zaia, Attilio Fontana e Massimiliano Fedriga e questo mentre il consiglio regionale dell’Emilia Romagna votava la delibera per chiedere l’abrogazione della contestata legge Calderoli. E mentre il presidente forzista del Piemonte Alberto Cirio, sulle orme di Zaia, firmava la lettera con cui chiede al governo di aprire il tavolo sull’autonomia.

«Se andiamo al referendum – ha detto in modo surreale Zaia in una intervista ieri al Corriere della Sera – l’Italia che ne uscirà non sarà più la stessa. Sarà una guerra tra guelfi e ghibellini, o meglio di italiani contro italiani». Inevitabile la risposta di Maurizio Landini, che con la Cgil sta promuovendo la raccolta delle firme, o della governatrice della Sardegna, Alessandra Todde, che nei prossimi giorni promuoverà nel suo consiglio regionale la richiesta di referendum, o del capogruppo di Avs al Senato Peppe De Cristofaro: è la legge Calderoli a spaccare l’Italia – hanno detto tutti e tre – e non il referendum che la vuole abrogare. Analogamente a Zaia, anche Fedriga ha – come si suol dire – rigirato la frittata: con il referendum «credo che si stia andando verso uno scontro che ha un’estrema strumentalizzazione di un testo che non spacca l’Italia».

Dopo che lunedì scorso il consiglio regionale della Campania ha deliberato di chiedere il referendum, ieri è stata la volta dell’assemblea legislativa dell’Emilia Romagna. Anche a Bologna, come lunedì a Napoli, in favore della delibera ha votato il centrosinistra al completo (28 sì) mentre le destre hanno votato contro (13 i no). Ora si attendono identici atti dai consigli di Toscana, Puglia e Sardegna (quest’ultimo voterà il 17 luglio). Fontana ha espresso «delusione» per l’Emilia, dato che nel 2017 aveva chiesto, come Lombardia e Veneto, l’autonomia. Fontana non dice tuttavia che mentre le due regioni a guida leghista avevano chiesto la devoluzione di tutte le funzioni delle 23 materie indicate dall’articolo 116 della Costituzione, l’Emilia aveva chiesto solo una serie mirata di funzioni più legate alle specificità territoriali della regione.

La segretaria del Pd, Elly Schlein, parlando ieri pomeriggio ad un convegno organizzato dal gruppo dem del Senato su premierato e autonomia, ha esplicitato un ulteriore intento del referendum: «Siccome autonomia e premierato sono frutto di un cinico baratto, se ne fermiamo una le fermiamo tutte». Sottovoce si aggiunge un ulteriore intento: «Prepariamoci a votare per le politiche nel 2026 e non nel 2027» ha sussurrato Arturo Scotto. La raccolta delle firme, oltre alla richieste delle cinque regioni, serve a mobilitare l’opinione pubblica. Infatti il raggiungimento del quorum è un obbiettivo difficilissimo, anche per i 4,7 milioni di italiani residenti all’estero che sui referendum non votano mai. Si tratta di ripetere la mobilitazione che ci fu sui referendum sull’acqua pubblica.

Intanto le altre due riforme costituzionali, il premierato e la separazione delle carriere, camminano al piccolo trotto in commissione Affari costituzionali della Camera. Ieri pomeriggio la commissione ha deciso di esaminare a settimane alterne le due riforme: la prossima inizieranno le 72 audizioni sul premierato, nella successiva (dal 22 luglio) quelle sulla giustizia