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ELEZIONI. Al quartier generale de La France Insoumise esplode la festa: «Non c’è spazio per machismo, omofobia, razzismo, islamofobia e antisemitismo»

La gioia al quartier generale de La France Insoumise. A destra, Jean-Luc Melenchon (Foto AP/Thomas Padilla) La gioia al quartier generale de La France Insoumise. A destra, Jean-Luc Melenchon - Foto AP/Thomas Padilla

Alle 20 arrivano le prime proiezioni, «3-2-1» conta il conduttore della tv pubblica francese, poi sullo schermo appare un emiciclo stilizzato e l’ala rossa del Nouveau Front Populaire cresce, cresce, lo schermo sembra troppo piccolo per contenerla: tra i 170 e i 190 seggi per la gauche unita, antifascista e con un programma di risoluta rottura con le politiche neoliberali di Macron, che si ferma a 150-170 seggi, appena sopra al Rassemblement National (130-150).

Al quartier generale de La France Insoumise, nella piazza Stalingrad nel nord di Parigi, la folla esplode in un coro di gioia e di sollievo. Un «ouf!» collettivo per aver respinto la minaccia dell’estrema destra, che fino a 24 ore fa tutti gli osservatori, commentatori e sondaggisti, davano come primo partito del paese.

E poi c’è la gioia, l’euforia per una vittoria «storica, che verrà commentata e analizzata in tutto il mondo», come declama dal palco il leader di LFI Jean-Luc Mélenchon, reclamando a gran voce le dimissioni dell’attuale primo ministro Gabriel Attal – lo farà lunedì mattina.

L’ondata dell’entusiasmo per un risultato epocale maschera almeno per una sera le divisioni interne al Nfp, che tuttavia perdurano. Proprio mentre gli insoumis festeggiano, Raphael Glucksmann, l’alfiere dell’ala più moderata del Ps, dice in tv che «a fronte di una Camera divisa» bisognerà «comportarsi da adulti», cioè trovare la quadra coi macronisti per una grande coalizione. Un’idea, tuttavia, per ora rifiutata persino da Olivier Faure, segretario dei socialisti.

Davanti alla folla festante, Mélenchon non le manda a dire. Ora, dice, la sinistra di «rottura» è il primo partito e spetta a lei governare, che Macron lo voglia o no, col programma sul quale gli elettori sono stati mobilitati: «Nient’altro che il programma, ma tutto il programma!»

Quello che è successo in questa campagna elettorale rimarrà negli annali, ha detto il leader degli insoumis. Due settimane in cui il «popolo» invocato per tanto tempo è finalmente emerso attorno a un programma di sinistra e per battere l’estrema destra. «Il popolo», ha detto Mélenchon, «non è una questione di lingua, di religione, o colore della pelle, ma è una comunità che si è fatta e rifatta decine di volte nella Storia in nome dei propri interessi comuni. E questi interessi comuni sono il nostro programma, del quale non modificheremo una virgola». Nella nouvelle France invocata da Mélenchon, non c’è spazio per «machismo, omofobia, razzismo, islamofobia e antisemitismo», ha detto, davanti a un pubblico in estasi. «E dobbiamo ringraziare soprattutto i giovani e gli abitanti dei quartieri popolari: ancora una volta, sono loro ad aver salvato la République!» ha concluso il leader degli insoumis.

Un «popolo» dunque, rappresentato da una coalizione che, ora, ha tutto il diritto di esprimere uno o una premier – ma privo (almeno per il momento) di una maggioranza parlamentare. Proprio per questo, tanto Mélenchon quanto gli altri membri della direzione di LFI hanno martellato dal palco la necessità di restare mobilitati. «Il governo del Nfp non avrà alcuna autorità, se non sarete voi a dargliela,» ha intimato Mélenchon