EUROPA. La premier gioca la partita delle nomine per la Commissione; l’ungherese, escluso dalle trattative per i top job, fa il duro. I tedeschi di AfD lavorano a un nuovo gruppo al parlamento Ue: i Sovranisti
Il primo ministro ungherese Viktor Orbán e Giorgia Meloni durante la conferenza stampa - foto Ansa
Su demografia e immigrazione, le parole d’ordine sono le stesse: quelle della destra radicale. Imbarazzo invece, sulle prospettive politiche europee, su cui restano divisi. Giorgia Meloni e Viktor Orbán si erano già visti una settimana fa a Bruxelles, in una sede non istituzionale, per registrare accordi e disaccordi sulle nomine europee e sulle strategie future delle destre europee. Ieri il primo ministro ungherese è arrivato a Roma per una visita alla presidente del Consiglio, questa volta a Palazzo Chigi, nell’ambito del tour delle capitali, tra Berlino prima e Parigi domani.
OCCASIONE FORMALE, quella della presidenza di turno ungherese, con inizio a luglio. Ma i temi sul piatto sono di nuovo quelli delle trattative per i top jobs europei, il sostegno a Ursula von der Leyen e quello a Kiev: due posizionamenti in apparenza inestricabili. Le decisioni sulle nomine dovrebbero concretizzarsi al prossimo Consiglio europeo di giovedì e venerdì, che riunirà a Bruxelles i leader dei Ventisette. E tutto lascia pensare che il premier ungherese e la presidente del Consiglio italiana abbiano strategie diverse, pur condividendo un comune terreno dei valori.
L’allineamento internazionale è il maggior elemento di frattura. Le solide credenziali atlantiste della leader di FdI sono agli antipoli di Budapest, che in una settimana cruciale per l’appoggio europeo all’Ucraina, torna a opporsi agli strumenti finanziari messi in campo dall’Ue per gli aiuti militari. Ancor prima del bilaterale romano, gelando gli auspici di Tajani («il veto di Budapest sugli aiuti all’Ucraina potrebbe sbloccarsi con il dialogo»), il ministro degli Esteri Péter Szijjártó ha affermato che Bruxelles «sta superando i limiti», col destinare altri 1,4 miliardi di euro per la fornitura di armi all’Ucraina e proponendo l’invio di addestratori militari nel paese. Gli stanziamenti dello European peace facility sono stati decisi contro la volontà di Budapest. «Una violazione senza precedenti delle regole comuni europee», rincara il ministro.
PARLANDO PER PRIMA nel corso della dichiarazione congiunta, in seguito al colloquio con Orbán a Palazzo Chigi, Meloni prova a smussare. Evidenziare i punti di contatto con Budapest e le convergenze con il programma ungherese per il semestre di presidenza. Definisce «non scontata» la decisione di inserire «una sfida» come quella demografica. Si allinea con alla politica anti-immigrazione, di cui Orbán è stato negli ultimi anni campione di disumanità. In cambio, riceve da Orbán apprezzamento sulla strategia italiana per l’Africa.
Sono i paesi dei Balcani occidentali, non certo l’Ucraina, la prospettiva dell’allargamento di Orbán, quelli che «sono in attesa da più da 15 anni», rimarca l’ungherese, alludendo invece all’accelerazione Ue verso Ucraina e Moldavia. Ma è sul processo della scelta delle cariche di vertice, che Orbán va giù duro: «Ci sono tre partiti che formano una coalizione e si dividono i principali incarichi senza coinvolgere gli altri. È una fisiologia che non risponde al progetto europeo». Come a dire: il processo si è politicizzato nel tempo, e questo non va bene. Meloni, che stavolta la partita per la Commissione ha deciso di giocarla, tace ma non può concordare.
INTANTO, SI VA VERSO la costituzione di un nuovo gruppo di estrema destra al Parlamento europeo. In una settimana decisiva anche per la formazione dei raggruppamenti politici a Strasburgo, l’iniziativa che dovrebbe portare al nuovo gruppo i Sovranisti parte da AfD, il partito tedesco espulso da Identità e democrazia (Id), che fa capo a Le Pen e Salvini, dopo lo scandalo di presunti finanziamenti da Mosca che ha coinvolto il suo leader Maximilian Krah. Della nuova famiglia politica dovrebbero far parte, oltre ai 15 eletti del partito tedesco, anche diverse altre delegazioni, dalla Romania alla Spagna, dalla Grecia a Slovacchia e Polonia, fino all’ungherese Mi Hazank Mozgalom (Movimento Nostra Patria), che si colloca più a destra dell’orbaniano Fidesz. Sarebbero così soddisfatti i criteri di almeno 23 deputati da 7 doversi paesi.
DAGLI APPARENTAMENTI parlamentari rimangono fuori, per ora, proprio i 10 eurodeputati del partito di Orbán. Potrebbero forse trovare compagni di viaggio tra gli eurodeputati cechi di Smer in un’ulteriore raggruppamento nero. Ma di certo l’ipotesi di entrare in Ecr, a lungo caldeggiata dal leader ungherese anche grazie ai buoni rapporti con Meloni, è tramontata la scorsa settimana dopo la richiesta del capogruppo Procaccini, luogotenente di Meloni, di un’assicurazione scritta in favore di Kiev per chi volesse farne parte. A complicare il quadro, i polacchi del Pis minacciano l’uscita dai Conservatori, per mettere pressione a FdI in direzione di un’apertura a Fidesz, oltre che al partito di Le Pen, perno del gruppo Id.
Il fatto è che più di tutto, per Roma adesso conta portare a casa un nome gradito nella prossima Commissione Ue, anche puntando sul potere negoziale dei voti FdI, che non possono dispiacere a von der Leyen: è la realpolitik formato destra