ORIENTE. Il Pakistan ha reagito prevedibilmente con durezza alla «violazione palese e immotivata della sua sovranità da parte dell’Iran», bollata come schiaffo al diritto internazionale e alla Carta dei principi Onu. […]
Il ministro degli esteri iraniano Amirabdollahian a Davos - Ap
Il Pakistan ha reagito prevedibilmente con durezza alla «violazione palese e immotivata della sua sovranità da parte dell’Iran», bollata come schiaffo al diritto internazionale e alla Carta dei principi Onu. E ha deciso di richiamare il suo ambasciatore e sospendere tutte le visite ad alto livello in corso o pianificate tra i due paesi a seguito di un atto «illegale del tutto inaccettabile» cui Islamabad «si riserva il diritto di rispondere» come è scritto in un messaggio inviato a Teheran, «responsabile delle conseguenze» di quanto potrebbe accadere.
La scusa ufficiale iraniana è che era necessario colpire e neutralizzare «due roccaforti chiave del gruppo terroristico Jaysh al-Dhulm (Jaish al-Adl) in Pakistan…prese di mira e demolite con successo da una combinazione di attacchi missilistici e droni», spiega l’agenzia di stampa Tasnim.
L’ATTACCO sarebbe la risposta alla morte di diversi membri delle forze dell’ordine iraniane e a un attacco alla città di Rask (Sistan-Belucistan iraniano) di cui sarebbe responsabile il gruppo sunnita. Ma in passato Iran e Pakistan hanno collaborato sul dossier, benché Teheran ritenga Islamabad responsabile di offrire un rifugio sicuro ai terroristi separatisti di Jaysh al-Dhulm, una delle varie sigle jihadiste originate dallo storico gruppo Jundullah (il cui capo Abdolmalek Rigi è stato ucciso in Iran nel 2010) che godrebbe anche di appoggi sauditi. L’organizzazione salafita vorrebbe l’indipendenza di un’area dell’Iran abitata da sunniti ed è una spina al fianco di Teheran. Ma mai si era arrivati a tanto.
L’attacco iraniano nel Belucistan pachistano, oltre a mostrare i muscoli, non sembra però un’azione improvvisata che scuote un Paese attraversato da turbolenze e violenze politiche mentre è in carica un governo a interim che sta preparando le elezioni di febbraio.
Nonostante i rapporti tra i due paesi siano sempre stati tesi, dare la stura a una reazione imprevedibile in questo frangente sembra piuttosto un piano ben preciso per dare fastidio non tanto al Pakistan quanto a uno dei suoi alleati maggiori: gli Stati uniti. Paese con cui Islamabad ha una relazione controversa da sempre (Islamabad autorizzò le basi per colpire l’Afghanistan ma ospitò Bin Laden e fornì rifugio ai Talebani) ma che ultimamente, con la cacciata di Imran Khan dall’agone politico (è in carcere e non potrà presentarsi candidato né i suoi accoliti potranno utilizzare lo stemma del suo partito), è tornato in auge.
SE LA STRATEGIA è punire i nemici nei paesi limitrofi ma anche le alleanze più o meno forti con Washington, colpire il Belucistan assesta un colpo a chi ha scelto di allearsi con un impero già in difficoltà in Siria e in Iraq e sul filo del rasoio nei suoi rapporti con Islamabad.
Il problema è che la Terra dei Puri è un paese con la bomba atomica, governato da una casta militare che manovra il potere politico e attraversa un momento di lucida paranoia dal momento che i suoi rapporti con altri due vicini – India e Afghanistan – sono particolarmente tesi. Se il piano è creare scompiglio tra gli attori regionali mediorientali fino al subcontinente indiano, allargando i vari fronti che circondano l’incendio di Gaza, il colpo è riuscito ma con quali conseguenze?
Con la messa fuori gioco di Khan, il cricketer prestato alla politica che gode di vasti consensi ma è rinchiuso con accuse pesantissime, i rapporti tra Pakistan e Russia si sono incrinati mentre si è rafforzata l’asse con Washington, accusata da Imran di essere dietro alla sua destituzione. Scelta che ovviamente a Teheran non è piaciuta. La Cina? Sta a guardare e chiede «moderazione»