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SUDAMERICAN PSYCHO. Cattiva notizia per l'ambiente, non per Israele. Primi viaggi negli Usa e a Tel Aviv. Il clima «menzogna socialista» e altri negazionismi

Ha vinto «El loco», da non crederci. Persino la siccità ha votato per lui L’effigie di Milei sul dollaro - Ap

Il giorno dopo c’è ancora chi non riesce a crederci. Proprio come era avvenuto in Brasile dopo la vittoria di Bolsonaro. E con el loco, «il matto», come viene (anche) chiamato Javier Milei, molti temono che sarà ancora peggio.

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IL PERONISMO, è chiaro, ha fatto di tutto per perdere, fin dalla scelta di Sergio Massa come candidato presidenziale: cioè non solo del ministro dell’Economia – di un’economia sull’orlo del collasso -, ma anche di un esponente politico percepito come quintessenza dell’odiata casta. E pazienza se l’espressione più nefasta di quella casta – quella rappresentata da Mauricio Macri – sia in realtà uscita rafforzata dalla vittoria di Milei.

Anche in questo caso, del resto, il «voto di castigo» si ritorcerà contro chi l’ha espresso. Se per esempio la lunga siccità, con relativo crollo delle esportazioni agricole – una catastrofe per un paese che è il primo esportatore di soia lavorata al mondo – è stata individuata come uno dei fattori della disfatta di Massa, è facile prevedere che i produttori agricoli che hanno votato per Milei se ne pentiranno presto.

Già ad agosto il viceministro dell’Ambiente Sergio Federovisky aveva lanciato l’allarme: «Come si può pensare che uno che non crede al cambiamento climatico investa nella prevenzione e nel contrasto degli incendi forestali o nelle azioni di adattamento richieste alla politica agricola per affrontare i futuri periodi di siccità?».
E che Milei sia un negazionista climatico al pari di Bolsonaro non ci sono dubbi: non solo ha affermato che «il riscaldamento globale è un’altra delle menzogne del socialismo», negando ripetutamente la sua origine antropica, ma ha anche promesso di abbandonare l’Agenda 2030 delle Nazioni unite, definita come un’imposizione del «marxismo culturale».

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L’UNICA AGENDA SARÀ LA SUA e il rischio è che faccia impallidire persino il già intenso modello estrattivista del governo uscente: aumento vertiginoso degli investimenti negli idrocarburi, a partire dal giacimento di Vaca Muerta, promozione massiccia dell’estrazione del litio, licenza di inquinare per le imprese. E se nel suo programma elettorale ambiente e clima brillano per la loro assenza – semplicemente non ci sarà in quest’ambito nessuna politica di stato -, non sorprende che il ministero dell’Ambiente sia tra i dieci contro cui Milei azionerà la motosega.

Ma se, almeno stando alle sue dichiarazioni, quella che si annuncia per l’Argentina è una sorta di apocalisse, la sua vittoria provocherà un terremoto anche in politica estera. Da che parte stia, lui non lo ha mai nascosto, e l’ha nuovamente ribadito anche ieri, annunciando che, prima ancora di insediarsi alla presidenza il 10 dicembre, si recherà in visita prima negli Usa e poi in Israele, di cui ha fin dall’inizio rivendicato il «diritto di difendersi» in contrasto con la consistente parte dell’America latina. Non a caso tra chi ha più esultato per la sua vittoria figura il ministro degli esteri israeliano Eli Cohen, il quale lo ha invitato nel suo paese per «rafforzare le relazioni reciproche» e «inaugurare» la nuova ambasciata argentina a Gerusalemme, secondo la promessa fatta da Milei in campagna elettorale.

SE POI la più accreditata candidata al ministero degli Esteri, Diana Mondino, ha già fatto sapere che l’Argentina non aderirà ai Brics, dicendo di non spiegarsi come mai tanti paesi facciano la fila per entrare nel blocco, è invece improbabile che il nuovo presidente smetterà di collaborare con «paesi socialisti» come la Cina, il Brasile, la Colombia o il Cile. Né Lula né Boric hanno comunque voluto alzare i toni: il primo, bollato da Milei come «comunista» e «corrotto», ha detto che «la democrazia è la voce del popolo» e che «il Brasile sarà sempre disponibile a lavorare con i nostri fratelli argentini»; il secondo ha garantito «rispetto» e «appoggio», promettendo di operare «instancabilmente» per «mantenere unite le nostre nazioni sorelle».

NON COSÌ DIPLOMATICO è stato invece Gustavo Petro, per il quale l’elezione di Javier Milei è una «triste notizia per l’America Latina: ci riporta a Pinochet e Videla», aveva scritto sui social nei giorni scorsi. E, considerando il sostegno ai genocidi della dittatura da parte del loco e della sua vice Victoria Villarruel, è difficile dargli torto