RAPPORTO ANTIGONE. Nei carceri minorili il 52,5% dei reclusi all’inizio del 2020 era in attesa di condanna definitiva
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Secondo gli ultimi dati disponibili, raccolti dall’associazione Antigone, al 15 gennaio 2022 nei diciassette Istituti Penali per i Minorenni (Ipm) d’Italia erano rinchiusi 316 minori e giovani adulti, di cui 140 stranieri e otto ragazze, per metà non italiane. Come spiega Alessio Scandurra, che per l’associazione è coordinatore dell’osservatorio sulle condizioni di detenzione, «si tratta di numeri significativamente più bassi rispetto a quelli che si registravano in passato» negli Ipm della penisola, che sono, per dimensioni e peculiarità, molto diversi tra loro.
Nel gennaio 2020, infatti, prima dell’arrivo del Covid, erano 375 i giovani detenuti, il 19% in meno degli attuali, e subito dopo il primo lockdown, nel maggio 2020, erano già scesi a 280. Ma i numeri più bassi, ricorda ancora Antigone, si sono registrati nel 2014, quando si raggiunse il minimo di carcerati stranieri. Allora però, con la legge 117 dell’agosto 2014, si aumentò da 21 a 25 anni il limite di età massimo dei detenuti che, avendo commesso reati da minorenni, potevano scontare la pena negli Ipm. Una legge alla quale si oppose la destra, preferendo una pena più dura per i giovani adulti, possibilmente da scontare in un carcere sovraffollato e con regole più ferree. Malgrado l’impennata di presenze che, come ovvio, si ebbe subito dopo, il numero di ristretti nel circuito penale minorile è andato comunque via via decrescendo negli anni.
In ogni caso, la maggior parte dei reclusi in questi istituti ha superato i 18 anni di età: al 15 gennaio scorso i maggiorenni detenuti negli Ipm erano «il 58,5%, un po’ meno tra i soli stranieri, il 56,4%, e decisamente di più tra le sole ragazze, il 62,5%», secondo Antigone.
Se guardiamo la distribuzione, si nota che il 55,9% delle presenze si registra al Sud e nelle Isole, dove è concentrata la maggior parte degli Ipm, ben dieci. Eppure alla stessa data del rapporto (gennaio 2022), solo il 47,6% dei 13.800 giovani che su tutto il territorio italiano erano presi in carico dai servizi sociali per minorenni, risiedevano nel Sud o nelle Isole. «Evidentemente al centro e al nord Italia – riflette Scandurra – le opportunità per percorsi alternativi al carcere sono più diffusi». Anche perché l’Ipm «è una tappa generalmente breve di un percorso più lungo, che si svolge soprattutto altrove, nelle comunità e sul territorio».
Non a caso, il circuito penale minorile italiano è considerato tra i migliori d’Europa, al punto da aver ispirato il Parlamento europeo e il Consiglio d’Europa nella stesura della Direttiva per le garanzie procedurali dei minori sospettati o accusati nei procedimenti penali approvata nel maggio 2016 con l’obbligo di adozione per tutti gli Stati membri entro tre anni.
All’inizio dell’anno in corso, anche negli Ipm la maggior parte dei reclusi, il 52,5%, era ancora in attesa di condanna definitiva. Mentre tra i minorenni detenuti negli Ipm addirittura l’87% era in custodia cautelare. Percentuali che scendono però se si considerano solo le ragazze (il 37,5%) e i giovani adulti (il 28,1%). Questa proporzione non è cambiata affatto, fa notare Scandurra, anche quando la popolazione detenuta negli Ipm era diminuita molto dopo la pandemia