CRISI DI GOVERNO. Mercoledì 20 luglio le comunicazioni del premier. Si parte dal Senato, previsto il voto di fiducia. Gli spiragli ci sono, la ricomposizione ancora no. Fi insiste: «Fuori i grillini o elezioni». La Lega stilala sua agenda con flat tax, pace fiscale, autonomia. Senza un fatto nuovo la partita potrebbe giocarsi direttamente in aula
Mario Draghi - Epa
Da Algeri il premier segue le evoluzioni, anzi l’assenza di evoluzioni, della crisi probabilmente con crescente scetticismo. Il problema non è cosa succede ma proprio che non succede niente di tangibile.
I partiti sono avviluppati nelle loro divisioni interne, nel calcolo dei vantaggi e degli svantaggi, restano in attesa delle mosse degli altri.
Se Draghi mirava a un pronunciamento di slancio della politica, come quello che risuona negli innumerevoli appelli delle varie categorie in queste ore, va detto che per il momento non c’è stato. La stessa scissione 2 del M5S viene continuamente rinviata, e senza quel «fatto nuovo» che dovrebbe sbloccare la situazione tutto resta nella palude.
CI SONO, È VERO segnali inequivocabili che attestano come gli spiragli ci siano e anzi non siano nemmeno strettissimi. Quelle del premier saranno comunicazioni, dunque il dibattito parlamentare sarà vero, concluso da un voto su mozioni, non una rassegnata messa in scena come minacciava di diventare.
Si partirà dal Senato, anche se con un colpo di mano del capogruppo 5S alla Camera Crippa, il Movimento si era associato alla richiesta del Pd di partire prima da Montecitorio. Un’astuzia che mirava a giocare la partita sul terreno più favorevole, dove i deputati 5S governisti sono molti, tra i 15 e i 20, e non pochissimi, 2 al massimo più facilmente nessuno, come a palazzo Madama. Ma era una mossa votata a fallimento, dal momento che in questi casi si parte sempre dalla camera nella quale si è consumata la rottura. I presidenti Fico e Casellati non potevano che confermare l’agenda che fissa il dibattito di mercoledì mattina al Senato.
AUTORIZZA OTTIMISMO sulla sopravvivenza della legislatura anche la dichiarazione del responsabile Esteri e Sicurezza della Ue Borrell: «Mosca festeggia la crisi del governo Draghi? Non vendere la pelle dell’orso prima di averlo ucciso».
Non sono parole spese a caso. Nei giorni scorsi il premier ha parlato con moltissimi rappresentanti delle istituzioni della Ue e non ha mai escluso la possibilità del ripensamento.
Ma forse l’indizio più eloquente è il pessimismo diffuso al vertice di FdI: «È andata, non si voterà», confessava in privato Fabio Rampelli. La cupa previsione del Fratello deriva dalla convinzione che, se Conte passerà all’appoggio esterno, Lega e Fi resteranno nel governo.
Ieri Berlusconi ha riunito il vertice azzurro e la posizione resta quella confermata alla vigilia del vertice da Tajani: «O governo senza 5S, senza Conte, o elezioni».
Salvini, che ieri sera ha riunito i gruppi parlamentari, è sempre più tentato dalla scelta di elezioni nelle quali la destra avrebbe gioco facilissimo. Dunque ha fatto ieri mattina uscire allo scoperto il vicesegretario Fontana con una dichiarazione durissima: «Basta con l’indegno teatrino di Pd e 5S. A questo punto diamo agli italiani la possibilità di scegliere un nuovo Parlamento». Alla fine della riunione dei parlamentari i capigruppo evitano di chiedere apertamente le elezioni, alludono anzi ai compiti che spettano al governo nei prossimi mesi, ma i toni e l’agenda che provano a dettare non promettono nulla di buono.
IL PD MARTELLA su tutti: su Conte perché voti la fiducia, sui dissidenti perché si decidano a uscire allo scoperto, sulla destra perché smetta di mirare alle urne senza ammetterlo, affidandosi al veto anti-Conte. Letta mette in campo un argomento tanto solido quanto pesante e non propagandistico: giovedì la Ue dovrà decidere sullo scudo anti Spread di cui l’Italia ha bisogno come dell’ossigeno. Senza governo e senza Draghi le condizioni potrebbero essere molto più severe: «Se mercoledì non ci tiriamo su da soli sarà difficile chiedere agli altri di salvarci».
MA IL GIOCO ETERNO dei tatticismi blocca ogni via d’uscita e in questa condizione è possibile che la partita si giochi direttamente in aula, mercoledì. Sarà Draghi a dare il la, a decidere come indirizzare il dibattito, se e quanti margini di ambiguità concedere.
I 5S si aspettano un segnale sul salario minimo. Se arriverà potrebbero decidere di confermare fiducia e internità al governo e a quel punto la scelta sulla crisi sarà tutta nelle mani di Berlusconi e Salvini. Se le parole del premier non saranno sufficienti per Conte il problema 5S non esisterebbe più per la destra.
Ma Draghi potrebbe essere tanto tassativo da costringere Lega e Fi a concedere non solo una fiducia a parole ma anche a impegnarsi nella sostanza. Fuor di metafora accettando di votare la delega fiscale con la riforma del catasto, le «nuove tasse sulla casa». Sempre che al voto si arrivi davvero, perché nulla impedisce al premier, se riterrà che il danno non è recuperabile, di interrompere la discussione per salire al Colle e rendere operative le dimissioni.