Centrosinistra La costruzione di un campo alternativo alla destra fa passi avanti, ma alcuni commentatori insistono a leggere il rapporto tra Pd e M5S in chiave di mera concorrenzialità e rivalità
La sala stampa del Partito democratico – foto LaPresse
A distanza di alcuni giorni dalla manifestazione del M5S, si può dire che la costruzione del campo alternativo alla destra abbia fatto un passo avanti. Merito dei toni e delle parole usate, e dell’atteggiamento dei vari interlocutori.
Trova conferma la lettura che, anche su queste pagine, era stata data negli scorsi mesi, circa l’inevitabile prudenza (che a lungo è sembrata ritrosia o ambiguità) con cui Conte stava portando gradualmente il M5S, e soprattutto il suo potenziale (e diffidente) elettorato, ad accettare l’idea di una possibile alleanza con il Pd.
ALCUNI commentatori insistono tuttavia imperterriti a leggere il rapporto tra Pd e M5S in chiave di mera concorrenzialità e rivalità. Ma dovrebbe esser chiaro oramai che il M5S non può dare al proprio elettorato un’immagine appiattita sul Pd: di più, non sarebbe utile nemmeno al Pd! Il segmento di elettorato a cui si rivolge il M5S solo in una piccola quota può essere recuperato dal Pd, fatto com’è, in gran parte, da ex-elettori di sinistra che proprio da questo partito sono fuggiti – spesso con grande rancore – nel corso dell’ultimo decennio. Piuttosto, dopo i discorsi di alcuni mesi fa, un punto fermo sembra oramai largamente acquisito: si possono e si devono cercare le più ampie convergenze programmatiche, e lo si può fare ora anche sulla politica estera, che rimane pur sempre il terreno più spinoso; ma anche se alcune differenze non potranno essere colmate, ciò non potrà e non dovrà impedire un ampio accordo elettorale il più ampio possibile.
DENTRO il Pd la strategia unitaria di Elly Schlein non sembra avere reali alternative, anche se non mancano voci dissonanti e manovre sospette.
Andrea Orlando, in un’intervista ha detto: «Vedo un insistente boicottaggio del cosiddetto campo largo anche da pezzi del Pd. Nel 2022 abbiamo visto la rottura con il M5S come è andata a finire. C’è un altro schema di gioco?
Lo si dica». Si può aggiungere altro: fa riflettere il pervicace atteggiamento di una parte della stampa, anche progressista, che continua ad usare toni di dileggio, o argomenti sprezzanti, verso i «grillini» e verso «l’avvocato»: evidentemente, non hanno imparato nulla dal passato, perché questo modo di guardare al M5S, da anni, si è rivelato del tutto inefficace (anzi!).
NON CREDO però che si tratti solo di pigrizia intellettuale: comincia ad intuirsi qualcosa di più, ossia una sorta di apprensione (per usare un eufemismo) verso il profilo programmatico di una possibile alternativa di governo fondata sull’asse Pd-M5S. L’accoppiata Schlein-Conte (con Bonelli e Fratoianni) appare quanto meno inquietante, «inaffidabile», agli occhi di tutti quei gruppi di potere che si erano abituati ad un Pd «partito-establishment», un partito garante delle compatibilità sistemiche, o ligio ai vincoli di una collocazione internazionale dell’Italia che sembrava intoccabile. Ma il mondo sta cambiando sotto i nostri occhi: cosa significa oggi «fedeltà atlantica»?
Bisogna essere fortemente europeisti, certo: ma questo significa forse allinearsi alla signora von der Leyen?
Eh sì, ci sono proprio molte anime inquiete, dentro e attorno al Pd. Ma che alternative hanno? L’unica via sarebbe quella di una riforma elettorale, ma – si badi – una riforma davvero e integralmente proporzionale (senza pastrocchi simil-Porcellum), che potrebbe rimescolare le carte degli attuali schieramenti. Ma, qualcuno, nel centrodestra, è in grado di fare una scelta di questo tipo? E gli opinionisti pensosi che lamentano il nostro bipolarismo malsano, se ne rendono conto? O sperano pur sempre, e ancora, nei famigerati governi “tecnici”?
E ALLORA, a questo punto, se non bastassero i buoni argomenti politici, possono essere convincenti anche solo i numeri. Non occorrono sofisticate simulazioni per mostrare gli effetti che potrebbe produrre una coalizione “larga”, o meglio ancora larghissima (un “fronte repubblicano”), nell’impedire la replica dello scenario del 2022. E non solo sulla base dei sondaggi disponibili oggi, ma sulla stessa base del voto delle elezioni europee (da cui questi sondaggi, peraltro, non si discostano molto). I dati sono chiari, ora la parola spetta alla politica.