Stampa

 

 

 

 

 

 Il caso La denuncia della Cgil e del Caaf ha fatto cambiare idea al ministero dell'Economia che ha ammesso l'esistenza di un pasticcio sulle tasse dei lavoratori dipendenti e dei pensionati. Le nuove aliquote dell'Irpef saranno applicate anche per gli acconti. Senza una modifica si rischia di pagare fino a 260 euro in più per somme non dovute

Il ministro dell'economia Giancarlo Giorgetti - foto LaPresse Il ministro dell'economia Giancarlo Giorgetti – LaPresse

Marcia indietro del governo dopo che la Cgil e il Caaf hanno denunciato un altro pasticcio sull’Irpef con il quale lo Stato avrebbe preso più del dovuto dai redditi dei lavoratori dipendenti che hanno i salari più bassi d’Europa, fermi al 2008 come ha mostrato l’Ilo.

È accaduto ieri quando Alberto Gusmeroli, responsabile Fisco della Lega, e il ministero dell’Economia guidato dal collega di partito Giancarlo Giorgetti, hanno annunciato un intervento, quantificato in 250 milioni di euro, che rimedierà a uno dei problemi creati dalla riforma fiscale a tappe che il governo Meloni sta cercando faticosamente di impostare.

Il segretario confederale della Cgil Christian Ferrari e la presidentessa del Consorzio nazionale Caaf della Cgil Monica Inviglia hanno dimostrato che i contribuenti sarebbero stati chiamati a pagare da 75 euro a 260 euro in più nella prossima dichiarazione dei redditi. I contribuenti che pagano l’Irpef – ma non quelli che hanno una rendita da capitale o che affittano un immobile – avrebbero dovuto versare gli acconti 2025 e 2026 in base agli scaglioni e alle aliquote precedenti l’ultima riforma, cioè 23%, 25%, 35% e 43%, Queste aliquote non sono più in vigore, perché ridotte da quattro a tre. Parliamo di redditi compresi tra i 15 mila e i 28 mila euro.

Il ministero dell’Economia ha spiegato ieri che intendeva «sterilizzare» gli effetti delle modifiche all’Irpef solo in relazioni agli acconti dovuti da chi ha un reddito ulteriori rispetto a chi ha una ritenuta d’acconto. L’intenzione non era di intervenire sulla maggioranza dei lavoratori dipendenti e dei pensionati che, in mancanza dei altri redditi, non sono tenuti alla presentazione della dichiarazione dei redditi. L’intervento riparatore sarà realizzato nei tempi opportuni al fine di evitare «aggravi». «Siamo soddisfatti per avere difeso le persone che rappresentiamo – hanno risposto Ferrari e Inviglia che hanno scritto a Giorgetti chiedendo di abrogare la norma – Se alle parole seguiranno i fatti, i salari e le pensioni di milioni di cittadini già colpiti dall’inflazione, non subiranno ulteriori riduzioni».

Diverse sono le interpretazioni dell’episodio. Da un lato, c’è Gusmeroli che ha parlato di un «refuso determinato dal mancato coordinamento tra vecchie e nuove norme». Di questi tempi non è facile ammettere un errore. Dall’altro lato, nella ricostruzione di Ferrari e da Inviglia, il governo è sembrato volere fare cassa con anticipi non dovuti.

Il problema è anche più generale e riguarda l’uso politico dell’Irpef. Su questa tassa è basato il taglio del cuneo fiscale. La misura-faro del governo Meloni è finanziata in gran parte con l’extragettito Irpef da 17 miliardi versato dai dipendenti e pensionati. Più volte la Cgil ha denunciato una «partita di giro»: da un lato, si tagliano le tasse; dall’altro lato, si usano i soldi degli stessi lavoratori che dovrebbero beneficiare degli effetti del taglio. Inoltre, a parere della Cgil, il passaggio dalla decontribuzione alla fiscalizzazione sul quale è stato organizzato da quest’anno il taglio del cuneo fiscale penalizza i redditi tra gli 8.500 e i 9 mila l’anno lordi con una perdita fino a 1200 euro all’anno. E la detrazione fissa per i redditi fino a 32 mila euro e quella variabile fino ai 40 mila penalizza chi ha meno.