Il Pd si spacca sulle armi e Schlein conserva la maggioranza del gruppo europeo solo per un voto grazie agli indipendenti, rifugiandosi nell’astensione. Anche Bonaccini rompe le righe e dopo due anni salta la tregua dem. Destra divisa in tre: Fdi si astiene sul sostegno a Kiev per non urtare Trump
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Accade proprio sulla politica estera, che tradizionalmente definisce lo standing di una forza politica e la sua coerenza programmatica. E accade in un momento di sconvolgimenti degli equilibri internazionali che sembrano destinati a incidere sul futuro prossimo. Dieci i deputati del Partito democratico votano sì alla risoluzione sulla difesa europea proposta della commissione di Ursula Von der Leyen. Stefano Bonaccini, Antonio Decaro, Elisabetta Gualmini, Giorgio Gori, Giuseppe Lupo, Pierfrancesco Maran, Alessandra Moretti, Pina Picierno, Lello Topo e Irene Tinagli contraddicono le indicazioni di Elly Schlein, che da subito si era espressa in forma critica sul progetto. Undici eletti invece scelgono l’astensione. Sono Lucia Annunziata, Brando Benifei, Annalisa Corrado, Laureti, Dario Nardella, Matteo Ricci, Sandro Ruotolo, Cecilia Strada, Marco Tarquinio, Alessandro Zan e il capo delegazione Nicola Zingaretti che nella giornata di martedì aveva tentato la mediazione presentando alcuni emendamenti e trattando con il commissario alla difesa. Se non fosse stato per gli indipendenti Strada e Tarquinio, insomma, Schlein sarebbe andata sotto.
LA SPACCATURA rimanda agli equilibri interni ed è destinata a produrre effetti nel dibattito del partito. Anche perché nel giro di pochi giorni ci si dovrà esprimere nel parlamento italiano sulle risoluzioni in vista del Consiglio europeo. La segretaria, però, sembra tirare dritto e confermare la linea critica verso il Piano Von der Leyen: «All’Europa serve la difesa comune, non la corsa al riarmo dei singoli stati – manda a dire ai suoi – è e resta questa la posizione del Pd».
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Dazi, capitali e cannoni, protezionismo imperialeSchlein considera che nella risoluzione sulla difesa comune «ci sono molti punti che condividiamo, ma la risoluzione dava anche appoggio al ReArm Ue cui abbiamo avanzato e confermiamo molte critiche proprio perché agevola il riarmo dei singoli stati facendo debito nazionale, ma non contribuisce alla difesa comune e anzi rischia di ritardarla. Dunque, quel Piano va cambiato» in direzione della «integrazione politica e di investimenti comuni per un piano industriale, sociale, ambientale, digitale e per la difesa comune, ma non solo e non a scapito del sociale e della coesione. Serve aumentare capacità industriale e coordinamento, con l’orizzonte federalista di un esercito comune al servizio di una politica estera comune e di un progetto di pace».
La linea della segretaria è chiara: si tratta di uscire dagli automatismi degli ultimi trent’anni, non si tratta di fare asse coi moderati ma di cercare una via d’uscita
progressista allo stallo dell’Europa. Brando Benifei prova a ridefinire il tutto in positivo, rimarca l’esistenza di «valutazioni differenti fra noi» ma evidenzia che tra gli europarlamentari Pd non vi è «nessuno contrario allo sviluppo di una nuova politica di difesa e sicurezza comune, soprattutto vista la situazione di urgenza dettata dal mutato contesto geopolitico e dalle politiche della nuova amministrazione statunitense».
PER LIA QUARTAPELLE, fra quelle che hanno sostenuto la linea Gentiloni a favore del riarmo, il Pd «deve dire dove sta, con chi sta e perché». E invece, sostiene, «la discussione a Bruxelles non c’è stata, siamo arrivati al momento del voto senza un confronto con la segretaria e il responsabile Esteri. Il voto di oggi dimostra che non si può arrivare senza una discussione vera. Si partiva dal no, per fortuna la linea del no è andata sotto». Spunta anche l’ipotesi di un «congresso tematico». «Nel nostro partito con la parola congresso si evocano altre dinamiche – dice Gianni Cuperlo – Io sento l’esigenza di trovare un luogo dove svolgere un confronto approfondito e serio negli organismi dirigenti. Se non lo fai in un momento così tormentato e potenzialmente esplosivo rischieremo di sciupare l’occasione».
E Luigi Zanda, che aveva proposto il congresso straordinario, articola la sua critica in questa forma: «Non metto in discussione la segretaria Schlein, che è stata eletta regolarmente, ma piuttosto non mi sembra che sia ancora giunto il momento che si possa presentare come candidata presidente del consiglio». Come a dire: il gioco del logoramento potrebbe riaprirsi.