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Sinistra Dalla cittadinanza al Jobs Act, le campagne di primavera tracciano alleanze variabili sui temi. Intanto, al congresso del Prc permane la spaccatura su alleanze e prospettive politiche

I «fronti mobili» dei referendum. Da Rifondazione a +Europa Maurizio Landini al congresso di Rifondazione comunista

«Stiamo vivendo un momento di crisi democratica, testimoniato dal fatto che la maggior parte delle persone non va a votare. E questa crisi è la condizione della svolta autoritaria. Per questo abbiamo scelto di usare lo strumento del referendum. La difesa della democrazia è praticarla, con tutti gli strumenti. Il referendum restituisce alle persone la possibilità concreta di cambiare la propria condizione». L’altro giorno, intervenendo al congresso di Rifondazione comunista a Montecatini, il segretario generale della Cgil Maurizio Landini ha insistito sul ruolo strategico che secondo il sindacato dovrebbero avere i referendum della primavera prossima. È un tema che ha molto a che fare con la discussione che investe il Prc, perché proprio la campagna su temi come il Jobs act o la cittadinanza ai migranti è un pezzo della linea esposta dal documento sostenuto dal segretario uscente Maurizio Acerbo: scongelare il partito dalla posizione in cui si è cacciato per renderlo protagonista di queste battaglie, da condurre innanzitutto con le grandi organizzazioni sociali (insieme alla Cgil anche Arci e Anpi, per dirne alcune) per arginare la deriva autoritaria in corso. Più che di frontismo, termine che viene utilizzato dai suoi oppositori, si tratta di frontismi, al plurale: di diverse lotte da condurre in contesti eterogenei sulla base di accordi sui singoli temi. Questa postura, puntualizza Acerbo, viene prima di accordi di coalizione e strategie elettorali. Lo fa anche per rispondere a quelli del documento 2 (che ha raccolto soltanto pochi voti in meno del primo): lo accusano di voler tornare sic et simpliciter nel campo largo e nel centrosinistra e rinunciare all’idea di un terzo polo alternativo sia alla destra che al centrosinistra.

DUNQUE, DOPO i contributi degli ospiti, ieri il dibattito tra i delegati è entrato nel vivo. Antonio Marotta, ad esempio, segretario regionale in Sicilia ribadisce il suo sostegno al documento uno e lamentando la linea «minoritaria» seguita fino a qui. «La minaccia della destra dovrebbe costituire una priorità per i comunisti». Il parere suo omologo piemontese Alberto Deambrogio è emblematico dell’altra campana, che sostiene che ci si trovi di fronte a un caso di too close to call: «Non ha prevalso nessuno dei due documenti. E dobbiamo tenere presente che la lotta contro il fascismo ha bisogno anche di un profilo sociale». Al momento la spaccatura appare insanabile, nonostante qualcuno invochi il superamento dello scontro in nome delle questioni di interesse comune.

INTANTO, ANCHE il presidente nazionale dell’Arci Walter Massa ribadisce l’importanza dei referendum: «Sono occasione per dire alle persone che possono incidere direttamente». Poi riconosce al Prc di aver creduto nel referendum sulla cittadinanza insieme alla sua organizzazione. «Quel referendum come quello sul lavoro non è una cosa astratta, tocca la vita delle persone. E quando si tocca la carne viva delle persone, i cittadini capiscono».

CHE IL TEMA dei referendum e delle singole campagna stia già disegnando alleanze di scopo e geometrie variabili è confermato dalle notizie che vengono da un altro congresso, quello di +Europa, che con il Prc ha promosso il quesito (la cosa singolare è che non è arrivata l’adesione del Movimento 5 Stelle, che pure fa parte di The Left al parlamento europeo anche grazie al consenso di Rifondazione). Dalla platea congressuale è stata lanciata la mobilitazione per il referendum che chiede il dimezzamento da 10 a 5 anni degli anni di residenza legale in Italia per l’ottenimento della cittadinanza. «Da oggi parte la formazione in tutta Italia dei Comitati per il sì – annuncia il segretario Riccardo Magi – Si tratta di un primo grande passo per riformare una legge vecchia di trent’anni che non tiene conto della società attuale». «La cittadinanza non è solo un riconoscimento giuridico ma il simbolo di chi siamo e di cosa vogliamo essere come società» aggiunge Utibe Joseph, dell’associazione di italiani senza cittadinanza ‘Dalla parte giusta della storia’ – Le persone che risiedono, vivono, studiano, lavorano e crescono in Italia sono ancora invisibili agli occhi delle istituzioni, non sono riconosciute dallo stato».